Il fisco dei comuni è molto poco federalista

La compartecipazione all’Imposta sul valore aggiunto è attribuita con criteri empirici e forfettari

Italia Oggi
4 Novembre 2011
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Lo spunto a trattare, sia pure in sommi capi, le nuove norme sul federalismo fiscale, ci giunge da un interessante documento del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec), pubblicato il 26 ottobre scorso, e nel quale sono riassunti con chiarezza e competenza i lineamenti delle tappe del processo di federalismo fiscale.
Le norme previste dal dlgs n. 23 del 2011, infatti, prevedono una attuazione in due fasi della realizzazione della riforma federalista.
Una prima tappa riguarda la devoluzione di quote di gettito di tributi erariali e dall’altro la parziale riattivazione della leva fiscale; la seconda tappa si contraddistingue invece con l’introduzione di nuovi tributi locali che costituiranno il cuore del sistema tributario locale.
L’attuazione delle due fasi appena ricordate si presenta dilazionata nel tempo, essendo prevista la prima già dal corrente anno 2011, mentre la seconda dovrebbe operare dal 2014.
Va però specificato, osserva il documento del Cndcec, che in conseguenza della crisi finanziaria che ha colpito in modo particolare il nostro paese, si sta procedendo ad una accelerazione dell’entrata in vigore delle nuove misure. Tant’è vero che il decreto correttivo del fisco municipale, approvato la settimana scorsa in consiglio dei ministri, ha disposto l’anticipo al 2013 dell’entrata a vigore a regime del federalismo. Per quanto riguarda la devoluzione del gettito ai sensi dell’art. 2 del dlgs 23/2011, essa riguarda tutta una serie di tributi indiretti (quali l’imposta di registro, l’imposta di bollo, quella ipotecaria e catastale, i tributi speciali ecc.) e diretti (l’Irpef sui redditi fondiari, la cedolare secca sulle locazioni), fra le quali spicca l’imposta sul valore aggiunto.
Tale imposta Iva per l’importanza anche di gettito che la contraddistingue, ad avviso del documento del Cndcec in commento, si rivela non propriamente pertinente a realizzare un fine federalista, essendo tale tributo, versato dalle imprese e dai lavoratori autonomi; ciò anche tenuto conto dei criteri empirici e forfettari con cui verrà attribuita agli enti locali territoriali.
Venendo all’altro aspetto della prima tappa della riforma e cioè la riattivazione della c.d. leva fiscale, essa si estrinseca nella previsione di reintrodurre la addizionale Irpef entro l’aliquota massima dello 0,4% dal 2011 e successivamente con i limiti di legge per gli anni successivi.
Inoltre si prevede la possibilità di istituire, fin dal 2011, da parte dei Comuni, l’imposta di soggiorno e di revisionare l’imposta di scopo.
Vale la pena di ricordare che l’ente locale può solo scegliere, entro i limiti di legge, la misura dell’addizionale comunale Irpef, stabilendo anche eventuali esenzioni soggettive e che può farlo con delibera da assumere e pubblicare entro il 31 dicembre dell’anno nel quale tale addizionale dovrà essere applicata.
Resta comunque fermo l’obbligo, da parte degli enti locali, di osservare i limiti di progressività dell’imposizione relativa alle imposte sul reddito, garantita dal principio fissato dalla Costituzione, in linea con quanto già avviene per lo stato e le regioni.
Per quanto riguarda l’imposta di soggiorno e l’imposta di scopo si può osservare, che seppure con modalità e finalità diverse, esse mantengono circa il gettito che si ritrae dalla loro applicazione, un preciso vincolo di destinazione.
In altre parole, tali imposte servono a finanziare particolari spese e investimenti sostenuti dagli ente locali, in materie ben specifiche e individuate dalla legge.
In particolare, per l’imposta di scopo, la regolamentazione tassativa prescritta dalla legge n. 296/2006, impone che tale tributi vengano utilizzati per: opere di trasporto pubblico urbano, opere viarie, opere di arredo urbano, parchi e giardini, parcheggi pubblici, restauri, conservazione di beni artistici ed architettonici, opere per nuovi spazi culturali, realizzazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici.
Due parole anche sul resto della riforma del federalismo fiscale: il pilastro principale sul quale si fonda la fase attuativa del federalismo comunale è l’Imposta municipale propria (Imu), disciplinata negli articoli 8 e 9, dlgs n. 23/2011. Questo nuovo tributo sostituirà l’Ici nonché l’Irpef e le relative addizionali locali sui redditi fondiari degli immobili non locati.
Ciò comporta che continueranno ad essere soggetti a Irpef i redditi degli immobili locati, comprese le locazioni sulle quali si applica la cedolare secca e degli immobili in regime d’impresa.
L’impianto dell’Imu ricalca quasi integralmente le regole fondamentali dell’Ici, e l’aliquota di base è stabilita dalla legge nella misura del 7,6 per mille, che si riduce alla metà nel caso degli immobili locati, al fine di tenere conto della coesistenza dell’Irpef.
I margini di manovra dei comuni appaiono comunque significativi: le amministrazioni possono infatti variare in aumento o in diminuzione l’aliquota di base del 3 per mille.
L’imposta secondaria accorperà una pluralità di prelievi. Si tratta, nello specifico, dell’imposta sulla pubblicità o del canone alternativo di autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari, della Tosap o, in alternativa, della Cosap.
L’imposta municipale sostituirà i tributi minori che normalmente sono gestiti dai comuni mediante affidamento in concessione.
Particolari norme, infine, sono state attribuite per la partecipazione dei comuni all’accertamento delle imposte erariali.

 

 

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