Con l’approvazione della manovra al Senato diventano più chiari gli effetti degli interventi sulle amministrazioni pubbliche. Per gli enti locali non sono buone notizie. Nonostante il pressing sul governo di sindaci e presidenti di Regioni, i tagli restano pesanti, cumulando gli interventi già previsti l’anno passato per il prossimo biennio, con quelli decisi nel decreto di luglio e poi anticipati con quello di agosto. Non c’è alcun dubbio che la manovra fosse necessaria e che dovesse essere pesante; ma che finisse con il colpire così tanto gli enti locali è invece più discutibile. Qualche vantaggio, rispetto alla prima formulazione della manovra, gli enti locali l’hanno avuto. In particolare, hanno ottenuto che il maggior gettito derivante dalla Robin Tax sulle società energetiche venga attribuito interamente a loro. Ma si tratta comunque di un gettito incerto. Nella migliore delle ipotesi, il sacrificio richiesto agli enti territoriali di governo con l’attuale manovra supererà comunque nel solo 2012 i 4 miliardi, che si cumulano agli 8,5 già imposti per il prossimo anno dal decreto 78/2010. E poiché i trasferimenti erariali non sono toccati dalla presente manovra, significa che questi ulteriori risparmi dovranno essere raggiunti con il miglioramento dei saldi di bilancio. Cioè, paradossalmente, Regioni e Comuni si troveranno nei prossimi anni a chiedere più soldi ai propri cittadini (o a ridurre i servizi), per accumulare risorse che non potranno spendere, con grave danno della trasparenza fiscale. A questo punto, una strategia migliore sarebbe stata quella di tagliare direttamente e proporzionalmente i trasferimenti erariali. Forse ancora più penalizzante dei tagli, è l’incertezza che accompagna il provvedimento. Non si sa quando e in che forma i gettiti della Robin Tax verranno distribuiti agli enti locali; non si sa quando e in che modo i risparmi per comparto si trasformeranno nel sacrificio richiesto a ciascun singolo ente locale. Di più, la previsione che dai tagli saranno esclusi gli enti “virtuosi” (che dovranno solo mantenere l’equilibrio di bilancio), di per sé una buona idea, produce però nel contesto dato solo ulteriore incertezza. Infatti, mentre i criteri per la virtuosità sono ora stati definiti nella manovra (alcuni inapplicabili, come il rispetto di costi standard che non esistono ancora), non lo sono i pesi relativi, e dunque non è possibile sapere al momento chi sono i virtuosi. Ma poiché i saldi per comparto dovranno essere raggiunti comunque, ogni ente riconosciuto come virtuoso impone una esternalità negativa sugli altri. Se per esempio, virtuosa fosse una grande città, gli oneri per gli altri comuni cresceranno di più che se virtuoso fosse un piccolo comune. Per evitare il problema, era meglio almeno per il 2012 definire ex ante l’entità dei benefici riconosciuti agli enti virtuosi, piuttosto che lasciare che si determino ex post con l’identificazione dei virtuosi. A fronte di questi interventi, gli enti locali hanno ottenuto un’accelerazione del processo di federalismo fiscale. L’addizionale comunale Irpef è stata sbloccata e resa articolabile per scaglioni; anticipata al 2012 anche quella regionale. Facile la previsione che i tagli di spesa si tradurranno in buona parte in ulteriori incrementi di imposte, per di più tutti su un tributo che è composto quasi interamente da redditi da lavoro e in particolare da lavoro dipendente, già strapazzato dal fisco statale. Incomprensibilmente, non è stata invece liberalizzata l’Ici sulle seconde case e sugli uffici commerciali, né anticipata l’introduzione dell’Imu, benché richiesta a gran voce dai comuni. Il governo ha perso anche un’occasione d’oro per correggere, senza perdere la faccia, un errore di populismo, l’abolizione dell’Ici sulla prima casa. Incolpando la crisi, sarebbe bastato semplicemente lasciare ai comuni la facoltà di reintrodurla. Infine, per i comuni la pillola è stata addolcita dalla previsione di un incremento della partecipazione dal 50 al 100% dell’evasione recuperata grazie alle segnalazioni dei municipi all’agenzia delle entrate. Quanto sia efficace il ruolo dei comuni in questo campo è discutibile; non è chiaro quali vantaggi informativi abbiano davvero gli enti locali rispetto agli uffici tributari statali. Tuttavia, per massimizzare gli effetti, è opportuno che ai comuni sia ora consentito l’accesso a tutte le banche dati relative ai propri contribuenti, fiscali e contributive. Si noti anche che la previsione di una partecipazione al 100% del gettito recuperato può risultare controproducente. Potrebbe infatti disincentivare l’agenzia delle entrate a perseguire le segnalazioni dei comuni, dato che comunque i maggiori gettiti finirebbero interamente nei bilanci comunali e non in quello statale. Per evitare il problema, è bene che l’accertamento di almeno una certa quota delle segnalazioni dei comuni sia introdotta in futuro negli obiettivi annualmente assegnati dal Tesoro all’agenzia.
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