Passo dopo passo il puzzle del federalismo modello Italia si va componendo. E fortunatamente avviene a una velocità superiore rispetto a qualche settimana fa. Grazie a questa accelerazione, anche il dibattito politico-economico sta facendo passi in avanti, aiutando il federalismo a superare le resistenze dei conservatori annidati in ogni coalizione e dentro la grande burocrazia. In questi giorni si sta discutendo in maniera animata tra governo centrale e enti locali sul ridisegno delle rispettive competenze tributarie e questo confronto – a volte aspro – ha messo per ora in secondo piano la relazione tra federalismo e cittadini. In breve non si è ancora imposta all’attenzione la domanda delle domande: l’Italia federale sarà un Paese con maggiore o minore pressione fiscale rispetto ad oggi? Forme diverse di autonomia impositiva le abbiamo sperimentate sin dagli Anni 90 e le rilevazioni degli esperti – compresa l’ultima del servizio studi della Camera – ci dicono che fino adesso la devolution fiscale ha comportato un aumento del carico sui contribuenti, per di più in misura maggiore al Nord che al Sud. Nei Paesi a radicata tradizione federale avviene che in alcune zone la pressione fiscale aumenti e in altre diminuisca, tanto da dar vita a fenomeni di mobilità territoriale legati proprio all’ottimizzazione dei vantaggi fiscali. Da noi è difficile che accada qualcosa del genere. Il tema è un altro: è assai probabile che i Comuni, dal Nord al Sud, pressati dal taglio dei trasferimenti statali, decidano di aumentare ulteriormente il prelievo o comunque di far salire le tariffe per offrire ai cittadini il medesimo standard di servizi. In questo caso la somma tra tasse centrali, tributi locali e incremento delle tariffe farebbe segnare un consistente aumento della pressione fiscale complessiva evidenziando così una palese contraddizione. L’avvento del federalismo, reclamato per primo da chi crede a uno Stato leggero, coinciderebbe con un maggior ricorso al portafoglio da parte dei cittadini. Un’abbinata che non può far piacere all’elettorato leghista sia in linea di principio sia in concreto, perché la pressione aumenterebbe anche nei Comuni governati dal Carroccio. Con il senno di poi dentro la stessa maggioranza sono in molti a chiedersi se sia stata davvero un’idea lungimirante abolire l’Ici subito dopo le elezioni. Ma come è possibile non deludere gli elettori ed evitare che la riforma federale, destinata a modernizzare la finanza pubblica locale e ad assicurare maggiore responsabilizzazione, parta ad handicap? La strada c’è. Si tratta di dimostrare che veramente si vuole far dimagrire la politica e ridurre il peso del fisco. Basta mettere mano a un provvedimento di abolizione delle Province che avrebbe sicuri effetti di risparmio e razionalizzazione. Del resto esistono già quattro livelli di rappresentanza elettiva (il Parlamento europeo, le Camere nazionali, le Regioni e i Comuni) per cui si può evitare di chiamare gli italiani a votare per una quinta istituzione e si possono smantellare le costose amministrazioni provinciali. Si obietta che avendo la Lega conquistato molte Province nelle ultime tornate elettorali si oppone strenuamente alla loro cancellazione. Ma i dirigenti del Carroccio sono così sicuri che il loro elettorato, pur di conquistare l’agognato federalismo, non sarebbe a favore di un’abo-lizione delle Province?
Il federalismo le tasse e le province da abolire
Il carico diminuirà
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