Anche le società pubbliche miste sono senza veli per i consiglieri comunali. Il diritto di accesso previsto dal Tuel a favore dei politici locali non si ferma sulla soglia delle società partecipate dall’amministrazione, anche se interamente regolate dal codice civile. Il Consiglio di stato (sentenza della sezione V, n. 7083 del 23/9/2010) ha risolto così il problema dell’estensione del diritto del consigliere comunale, che può ottenere informazioni e documenti dalle società, per esempio di servizi pubblici locali. Il Consiglio di stato ha bilanciato l’autonomia d’impresa della società partecipata dall’ente pubblico e il controllo pubblico, mediante l’accesso del consigliere e ha dato prevalenza a quest’ultimo. La conseguenza è che il consigliere comunale può venire a sapere ad esempio che un cittadino è cliente di una società di servizi pubblici o che un professionista è consulente della stessa o ancora che una impresa è fornitrice della spa pubblica. Secondo Palazzo Spada «tutto ciò che concerne l’attività della pubblica amministrazione in cui è incardinato il consigliere comunale non può non essere messa a sua disposizione». Al massimo si può rinviare l’accesso, ma solo in casi eccezionali; un accesso che non può mai essere negato in via definitiva. Applicando il principio, il Consiglio di stato ha rilevato che una società mista, con partecipazione maggioritaria dell’ente locale, costituita ai sensi dell’articolo 113 del Tuel, è sì una società di diritto privato, ma è anche una società che svolge (esclusivamente o prevalentemente) uno o più servizi pubblici locali. E se è una modalità alternativa ad altre (economia, azienda speciale, appalto, istituzione) per la gestione di servizi pubblici locali «non può non ricadere nell’ambito dei poteri di cognizione del consigliere comunale». Lo statuto societario non può mai rappresentare un impedimento. Tutt’al più la richiesta del consigliere andrà diretta non alla società, ma all’amministrazione comunale che poi dovrà provvedere alle conseguenti operazioni per far pervenire al consigliere interessato la documentazione richiesta. Insomma la richiesta è filtrata dal comune: ma, conclude la sentenza, si tratta solo di una modalità operativa che non può certamente portare al diniego di accesso. Ciò perché, lo ribadisce il consiglio di stato, gli uffici comunali non possono sindacare l’effettiva utilità al mandato delle informazioni richieste.
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