La variante di valico autostradale tra Firenze e Bologna, la Tirrenica Cecina-Civitavecchia, il raddoppio della Pontina, il terzo valico ferroviario Milano-Genova, l’Alta velocità est-ovest, ma anche rigassificatori come Brindisi e Porto Tolle: tutte grandi opere che sono ancora in corso e che hanno richiesto finora – almeno nel caso di strade e ferrovie – dai 20 ai 30 anni fra progetti e cantieri (quando ci sono). Nel “palleggio” da una soluzione progettuale all’altra, da un regime giuridico all’altro, da un sistema di appalto all’altro, con o senza general contractor, da una valutazione di impatto ambientale all’altra, da un’autorizzazione all’altra pesa, in ciascuno di questi progetti, un conflitto più o meno aspro fra Stato e Regioni, fra opera e territorio, fra centro e periferie. Un conflitto che è stato esasperato dal titolo V della Costituzione votato dal centro-sinistra nel 2001.
Un conflitto che preesisteva al titolo V, ma è stato accentuato con quella «legislazione concorrente» che non ha mai favorito accordi, cooperazioni istituzionali, decisioni chiare e nette, ma piuttosto ha esaltato l’inclinazione già presente alle discussioni infinite, ai veti incrociati, al rimbalzo dei progetti da un ente a un altro, alle inerzie presenti nelle pubbliche amministrazioni. Dalla sentenza della Consulta 303/2003 sulla legge obiettivo in avanti, conflitti espliciti e sotterranei a non finire.
Certamente il titolo V non è l’unico responsabile di questo “palleggio” infinito e del fatto che la legge obiettivo, dopo 12 anni, è stata realizzata al 15%. Non a caso, la lentezza delle grandi opere esisteva anche a prescindere dal dettato costituzionale. Contribuisce una legislazione nazionale che è un ferrovecchio in materia di approvazione dei progetti sul territorio: niente débat public alla francese per coinvolgere le popolazioni locali, processi autorizzativi lenti a dispetto di tutte le corsie preferenziali, tempi mai davvero vincolanti e decisioni quasi sempre riformabili al primo cambio di colore politica di una giunta.
Tuttavia, il titolo V ha responsabilità enormi nel fallimento delle politiche di questi anni e nell’ulteriore peggioramento di tempi e costi, permettendo incursioni regionali di ogni tipo: dalla pianificazione delle opere della legge obiettivo, che salirono da una ventina ipotizzate all’inizio dal Governo Berlusconi a oltre 200 per dover accontentare tutte le richieste regionali; giù giù lungo la catena della realizzazione delle opere fino all’ultimo dettaglio di cantiere, come avvenuto anche di recente con l’interpretazione regionale toscana della legge sulle torre e rocce da scavo che ha bloccato per mesi l’esecuzione della variante di valico.
Ora Matteo Renzi propone di modificare senza indugio il titolo V per tornare alla competenza nazionale sulle opere infrastrutturali strategiche. Berlusconi, dal canto suo, aveva già provato a modificarlo nel 2005 ma il tentativo di correzione fu bocciato dall’esito del referendum confermativo il 25-26 giugno 2006. Imprese e progettisti fanno il tifo perché sia la volta buona.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento