Il condono dei condoni

Le case a Ischia

Corriere della Sera
1 Luglio 2010
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E due. Dopo il tentativo di dieci giorni fa, fatto per tastare il terreno e così osceno da essere istantaneamente scaricato dallo stesso Pdl, rispunta fuori una sorta di «condono dei condoni». Per iniziativa di tre deputati. Tutti e tre campani, pidiellini, vicini al chiacchieratissimo sottosegretario Nicola Cosentino. Della serie: come volevasi dimostrare… L’altra volta, davanti alla strafottenza della proposta che voleva non solo riaprire fino al 30 marzo 2010 i termini della sanatoria 2003 ma estendere il colpo di spugna agli abusi nelle aree protette, il sottosegretario Paolo Bonaiuti si era precipitato a negare tutto: «Di nuovi condoni non se ne parla assolutamente: né fiscali, né edilizi». Anzi, aveva strillato, l’allarmata denuncia di quell’emendame-nto non era che «una trovata propagandistica creata ad arte dall’opposizione!». Una tesi ribadita dal ministero dell’Economia: nessun condono. E accompagnata dalle stupefacenti parole di Paolo Tancredi, che aveva giurato al nostro Mario Sensini che lui non sapeva nulla. Che manco aveva letto l’emen-damento. L’aveva firmato così, perché gliel’avevano messo davanti: «Io sono un ambientalista… Mai e poi mai mi sarei sognato di proporre un condono edilizio. Dentro ai Parchi e alle aree protette, poi…». E tutti a giurare: ma no, è stato solo un equivoco, ci mancherebbe altro… Dieci giorni dopo, replay. All’ottava commissione della Camera si discute oggi una nuova proposta di legge: «Disposizioni per accelerare la definizione delle pratiche di condono edilizio al fine di contribuire alla ripresa economica». Vi si legge che entro sei mesi occorre sistemare tutti gli arretrati delle sanatorie del 1985, 1994 e 2003: «È noto che presso i comuni pendono, complessivamente, milioni di istanze di condono edilizio, che non vengono esaminate (ormai da oltre venti anni) per taluni ostacoli “burocratici”». Quali? «In particolare, la difficoltà dovuta a un’in-terpretazione eccessivamente rigida delle norme di tutela delle aree sottoposte al vincolo paesaggistico». Testuale. L’attesa, tuonano i deputati berlusconiani, è «estremamente pressante». Senza la concessione di quei benedetti condoni, gli abusivi infatti «non possono neppure procedere alla realizzazione di opere manutentive di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione di completamento». Cioè non possono far le rifiniture agli abusi. Ora, poiché i tre condoni si collegano in un «continuum » lungo «l’arco temporale che va dal 1983 al 2003» (proprio ciò che da anni dicono gli ambientalisti e che i promotori delle sanatorie, per ribattere alla Corte Costituzionale ostile ai «condoni permanenti» hanno sempre negato) è necessaria una «definizione». La quale «consentirebbe ingenti introiti per la finanza degli enti locali, a seguito del versamento dei contributi per costo di costruzione e oneri di urbanizzazione, nonché dei versamenti a titolo di sanzione per ritardato pagamento». La Corte dei Conti ha già smentito questa tesi ricordando nel 2004 che gli oneri di urbanizzazione «da più parti sono stati quantificati in misura ben superiore a quella prevista »? Spallucce. Uno studio di Legambiente ha già dimostrato che dai condoni i comuni hanno incassato dal ’95 al 2003 4.429.436.000 euro spendendone per portare i servizi 9.664.224.000 e cioè oltre 5 miliardi di più? I tre tirano dritto: «A ciò si aggiungano gli introiti per gli enti locali e per lo Stato conseguenti alla regolarizzazione di tali immobili sotto il profilo fiscale e tributario…». Non solo: «Il vero “volano”» all’economia sarebbe «la possibilità di intervenire su milioni di immobili, che ormai abbisognano di rilevanti interventi edilizi manutentivi e strutturali, risalendo la loro costruzione ormai a decenni addietro». Sono abusivi? E vabbè… Sono stati tirati su in zone proibite? E vabbè… Sono da abbattere? E vabbè… Ecco quindi la leggina. Articolo 1: i comuni e le soprintendenze devono definire le pendenze «entro il termine di sei mesi». Articolo 2: «Il rigetto dell’ista-nza di condono presentata ai sensi del comma 1 deve essere motivato in relazione all’assoluta e insuperabile incompatibilità con il contesto paesistico-ambientale vincolato». Articolo 3: «Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1 senza che il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio abbia espresso il prescritto parere, l’amministrazione competente procede comunque all’adozione del provvedimento». Articolo 4: «La mancata adozione del provvedimento motivato di definizione delle pratiche di condono edilizio di cui al presente articolo è valutata ai fini della responsabilità dirigenziale o disciplinare e amministrativa, nonché ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato del-l’amministrazione competente». Traduzione: la mancata risposta va fatta pagare in busta paga a impiegati e dirigenti. Di più: «Resta salvo il diritto del privato di dimostrare il danno derivante dal ritardo della pronuncia dell’amministrazione indipendentemente dalla spettanza o meno del diritto al condono». Rileggiamo: «indipendentemente » dal fatto che l’abusivo abbia o no diritto al condono. Una sottolineatura significativa. «Di fatto è una riapertura perfino del condono del 1983. La maggioranza continua a mandare pericolosi segnali di tana libera tutti al Paese, che alimentano gli appetiti illegali e rischiano di regalare al nostro fragile territorio altre colate di cemento illegale», sbotta Ermete Realacci. Difficile dargli torto. Basti ricordare come sia finita la «sanatoria delle sanatorie» tentata dalla regione Sicilia per rastrellare soldi dato che a larghissima maggioranza gli abusivi avevano solo avviato la pratica per il condono, pagando l’acconto del 10% necessario a sospendere inchieste e abbattimenti per poi infischiarsene del resto nella convinzione che il loro fascicolo sarebbe ammuffito nella polvere. L’autocertifi-cazione offerta ai 400.000 «fuorilegge» era convenientissima. Il risultato fu questo: 1,1% di adesioni a Palermo, 0, 37% a Messina, 0,037% a Catania. Per non dire di Agrigento, dove i cittadini che scelsero di chiudere il vetusto contenzioso furono 3 (tre!) su 12.000. Ma davvero gli autori della proposta di oggi pensano che gli uffici pubblici che per anni hanno spesso tenuto bloccate apposta le pratiche per chiudere un occhio, evitare alla gente di dover pagare davvero tutto e non dare il via alle ruspe, possano oggi sistemare tutto in sei mesi? Che le sovrintendenze decimate negli organici e nei mezzi tecnici possano fornire risposte scritte per ogni singolo abuso? Assurdo. Sanno perfettamente che, se passasse la loro leggina, sarebbe sanato l’insanabile. Tanto più che tutti e tre vengono da un’area, quella tra Napoli e Caserta, che è una mostruosa metastasi cementizia cresciuta senza legge. La prima firmataria (lei pure «a sua insaputa »?) è Maria Elena Stasi, già prefetto di Caserta al centro di dure polemiche su un «buco» di ore nello scrutinio alle politiche 2006. Il secondo è Luigi Cesaro, proprietario immobiliare, deputato e (nonostante l’in-compatibilità) presidente della provincia di Caserta. La terza è Giovanna Petrenga, già direttrice della Reggia di Caserta. Il messaggio che lanciano farà piacere a Nicola Cosentino, al quale sono vicini, ma anche alla buonanima di Totò. Che in una spettacolare scenetta declama: «Abusivi di tutto il mondo unitevi! Ci vogliono abolire! È un abuso! Abusivi: diciamo no all’a-buso!».

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