Di seguito si riportano alcuni principi ribaditi dal Consiglio di Stato (Sez. IV), sentenza del 10 maggio 2023, n. 4749 riguardanti l’interpretazione dell’atto amministrativo ed i suoi vizi, con riferimento all’eccesso di potere nella forma dello sviamento di potere e dell’illogicità manifesta.
L’interpretazione dell’atto amministrativo
“La qualificazione dell’atto amministrativo dev’essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti, e non anche del nomen juris assegnatogli dall’Autorità emanante. Dunque, in coerenza con il summenzionato criterio interpretativo, a sua volta espressivo del principio generale della prevalenza della sostanza sulla forma degli atti giuridici, si rileva che, nel caso di specie, la deliberazione consiliare di convalida della precedente delibera di Giunta, di istituzione di una nuova sede farmaceutica, emendata dei vizi di omessa acquisizione del pareri obbligatori dell’ordine dei farmacisti, risulta adottata sulla base di una rinnovata istruttoria, arricchita dall’acquisizione dei pareri obbligatori inizialmente mancanti, e di una conseguente, nuova valutazione, i cui esiti risultano compendiati nella relazione tecnica di accompagnamento alla delibera, delle esigenze sottese all’istituzione di una nuova sede, e pertanto deve essere qualificata come una rinnovata e autonoma determinazione istituiva di una nuova sede farmaceutica, e non come convalida della delibera già annullata. A prescindere, quindi, dalla denominazione formale dell’atto come convalida, operata dalla stessa Amministrazione, la predetta delibera dev’essere qualificata come una nuova determinazione di istituzione della sede farmaceutica, in quanto adottata sulla base di una rinnovata istruttoria e in esito a un diverso (o, comunque, ulteriore e, perciò, sostitutivo) apprezzamento delle esigenze della popolazione in ordine alla fruizione dei servizi erogati da una nuova farmacia.” (Cons. Stato, sez. III, 15 giugno 2015, n. 2956; cfr., inoltre, sez. V, 24 aprile 2014, n. 2163; sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2027).
Lo sviamento di potere
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio lo sviamento di potere ricorre allorché il pubblico potere viene esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso, ovvero quando l’atto posto in essere sia stato determinato da un interesse diverso da quello pubblico; la censura deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dare conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non bastando allegazioni che non raggiungono neppure il livello di supposizione od indizio (Cons. Stato, sez. VII, 28 marzo 2022, n. 2246; sez. V, 26 luglio 2021, n.5532; sez. II, 30 giugno 2021, n. 4977).
In linea teorica, va premesso che il vizio di contraddittorietà può ricorrere quando si riscontri un contrasto fra più manifestazioni di volontà della stessa amministrazione nell’esercizio del medesimo potere. La coerenza dell’azione amministrativa costituisce, infatti, un valore perseguito dall’ordinamento (Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5328).
L’Illogicità manifesta
Il contrasto che, in tesi, potrebbe integrare il vizio di contraddittorietà (si parla anche di “illogicità manifesta” o di violazione del principio di coerenza amministrativa) può sussistere all’interno del medesimo provvedimento amministrativo oppure fra più atti amministrativi.
Nel primo caso, il vizio potrebbe essere accertato quando si riscontra una non consequenzialità fra le premesse e le conclusioni del provvedimento o, per dirla diversamente, fra la sua motivazione e il suo dispositivo.
Nel secondo caso, invece, il vizio potrebbe essere accertato fra due provvedimenti non direttamente collegati tra loro, ma logicamente collegati alla medesima vicenda amministrativa (quali ad es., il diniego di approvazione di una variante ad un piano di lottizzazione ad iniziativa privata, non implicante alcuna modifica dei parametri del progetto originario, emanato dopo che la compatibilità degli interventi oggetto del progetto fosse già stata positivamente valutata dallo stesso ente comunale in sede di approvazione del piano di lottizzazione originario, cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, 10 aprile 2017, n. 177; tra il provvedimento e i suoi atti preparatori; tra il provvedimento e un atto amministrativo di indirizzo o di auto-vincolo (quando, ad es., il provvedimento di revoca di un incarico giustificato con il richiamo a circolari che pongono principi di carattere opposto alla determinazione assunta, cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 1991 n. 436).
Va ribadito che quando si riscontra la contraddittorietà in una delle manifestazioni sopra esplicitate, questa evenienza non conduce di per sé, in sede giudiziaria, all’automatico accertamento dell’illegittimità del provvedimento, con conseguente pronuncia di annullamento.
Risulta infatti necessario verificare se alla “contraddittorietà” riscontrata si accompagni, in concreto, la divergenza del provvedimento dalle sue finalità istituzionali che concreta il vizio di eccesso di potere (Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5328; sez. VI, 13 ottobre 1993 n. 713).
In particolare, con riferimento alla figura della contraddittorietà tra atti del procedimento, si è affermato che l’eccesso di potere si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, n. 5013 del 2004).
Il Consiglio ha inoltre affermato che il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà non si configura:
- i) quando si tratta di provvedimenti “contraddittori” che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all’esito di procedimenti indipendenti adottati e ad intervalli di tempo l’uno dall’altro (Cons. Stato, sez. VI, 19 ottobre 2022, n. 8908; sez. V, 31 dicembre 2018 n. 7315; Sez. V, 5 settembre 2011 n. 4982);
- ii) quando si tratta di atti endoprocedimentali “contraddittori” che non hanno di per sé rilevanza esterna, avendo “la possibilità per la PA di orientarsi nel corso del procedimento (o di provvedimenti avviati sui medesimi presupposti) diversamente e meglio, nel suo discrezionale apprezzamento, perseguendo la miglior cura dell’interesse pubblico nei limiti previsti dalla legge e salvo il sindacato del GA” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2019 n. 3420, in un caso relativo ad un preteso contrasto fra due differenti proposte [la prima, di revoca parziale; la seconda, di revoca totale], delle quali poi soltanto la seconda aveva condotto all’emanazione del procedimento);
iii) quando il raffronto da cui si ingenera la dedotta “contraddittorietà” è operato fra le diverse fasi del medesimo procedimento (Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 2023 n. 1322, che muove dal principio di diritto affermato dal precedente di sezione n. 3420 del 2019, appena citato);
- iv) quando si tratti di due diversi atti che, ancorché inerenti al medesimo oggetto, provengano da uffici diversi e non entrambi competenti a provvedere o siano espressione di poteri differenti (Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5013, che, nell’ambito del subprocedimento di verifica di anomalia dell’offerta, ha ritenuto insussistente il contrasto fra il parere di mera accettabilità dei giustificativi presentati da un’impresa, emanato dalla commissione consultiva e la valutazione tecnica delle giustificazioni emanata dalla commissione tecnica, le cui conclusioni sono state fatte proprie dal responsabile unico del procedimento; cfr., anche, Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 1995 n. 1558);
- v) allorquando il nuovo provvedimento dell’Amministrazione, diverso da quello pregresso, sia stato adottato alla stregua di presupposti in parte differenti concretatisi “medio tempore” (Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 1987 n. 403).
Pertanto, la contraddittorietà non ricorre quando dagli atti del procedimento o dal provvedimento si possa ricostruire, con ragionevole certezza, quale fosse la volontà dell’amministrazione.
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