A parere dei giudici, il Consiglio comunale, all’atto della ratifica dell’accordo di programma ex art. 34, comma 5, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, non può entrare nel merito dei contenuti dell’accordo già firmato, negandola per ragioni sostanziali.
Accordo di programma: natura e contenuti della ratifica da parte del Consiglio comunale
La pronuncia affronta la questione della natura e dei contenuti della ratifica, da parte del Consiglio comunale, dell’accordo di programma ex art. 34, comma 5, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Tale disposizione prevede l’obbligo di ratifica dell’operato del Sindaco “ove l’accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici”.
Il Tribunale amministrativo laziale, dopo aver qualificato l’istituto in oggetto, si sofferma sulla questione se il Consiglio comunale, all’atto della ratifica, possa entrare nel merito dei contenuti dell’accordo di programma già firmato, negandola per ragioni sostanziali, come avvenuto nel caso di specie.
La conclusione negativa si basa sia sull’analisi della funzione della ratifica ex lege di cui al comma 5 dell’art. 34 sia sulla valorizzazione dei contenuti dell’accordo di programma, sottoscritto dal Sindaco, il cui apporto sarebbe costantemente vanificato qualora il consiglio comunale entrasse nel merito dei contenuti dell’accordo, a maggior ragione qualora vengano censurati aspetti diversi dalla variazione degli strumenti urbanistici.
Proprio in ragione dell’eccezionalità di questa attribuzione di potere, il TAR ha ritenuto che la ratifica non può essere intesa come disponibilità di un potere di autotutela del consiglio comunale che entri nel merito della scelta frutto dell’azione concordata degli enti locali nella conferenza di servizi e poi nel successivo accordo di programma.
Il risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento
Il Tribunale è successivamente passato a esaminare la domanda risarcitoria. Pur essendo stato annullato il provvedimento impugnato, la domanda di risarcimento ex art. 30 c.p.a. è stata negata a causa della mancata prova del danno subito dalla parte ricorrente, che grava su di questa in base ai principi che governano la responsabilità aquiliana.
L’ulteriore, subordinata, domanda di risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento (durato, in effetti, tantissimi anni a causa di reiterate inerzie dei soggetti pubblici coinvolti) è stata anch’essa negata: dopo una analisi dell’istituto e della giurisprudenza in materia, la Sezione ha concluso per il diniego sulla base dell’orientamento più recente del Consiglio di Stato, che non riconosce il risarcimento del danno da mero ritardo, e pretende la necessità dell’accertamento della spettanza del bene della vita richiesto, ovvero dell’adozione del provvedimento favorevole.
>> CONSULTA LA SENTENZA DEL TAR LAZIO, SEZ. II QUATER, 20 LUGLIO 2017, n. 8818.
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