Matteo Renzi approda al Sud, dove tra disoccupazione e lavoro nero, non arrivano che gli spiccioli del bonus degli 80 euro. Quel Sud dove – con Forza Italia in caduta libera – Beppe Grillo cerca di fare il sorpasso. Ma il premier è deciso, ancora una volta, a giocare duro, secondo il copione ormai noto. Così – ancora una volta – parte da una scuola, quella di Secondigliano. Perché «la lotta alla camorra, la scommessa per una cittadinanza diversa, parte da qui», scrive su Twitter a inizio giornata. E le ore si snodano in una controffensiva alla sfida pentastellata che arriva fino a sera, quando il segretario del Pd – passato per Reggio Calabria – approda a Palermo e affronta a viso aperto anche i suoi contestatori. Di nuovo raccoglie la sfida dell’ex comico: «Vi chiedo di considerare il passaggio del 25 maggio un referendum», ma nel senso di «un ballottaggio tra l’Italia che offende e l’Italia che costruisce, tra l’Italia che non ci crede più e l’Italia che crea posti di lavoro. Tra l’Italia che vorrebbe dire che va tutto male e l’Italia che sa che il cuore è gonfio di difficoltà ma costruiremo l’Italia dei nostri figli». E il Pd la vincerà e «scalerà il podio». La base di partenza resta dunque il mondo dell’istruzione. Un universo in cui il capo dell’esecutivo continua a muoversi a tutto campo. Anche in quello dell’edilizia scolastica. A Secondigliano, la scuola dove entra il capo dell’esecutivo è malridotta. «Sono a Palazzo Chigi, venite a trovarmi se le cose non vanno bene», dice. E per restare sulle basi della politica, Renzi legge ai bambini la Costituzione: «Ci insegna le regole che dobbiamo rispettare, non dobbiamo salire con i piedi sulle sedie, non dobbiamo gettare le carte a terra». Quelle regole che qualcuno, proprio a Roma, non rispetta, non dice il premier, ma sembra lasciar intendere, con i grillini che addirittura hanno scalato i tetti di Montecitorio. Poi la promessa per ristrutturare l’edificio: «Adesso vediamo dove trovare i soldi», perché «una scuola non può non avere una palestra. Mettici i fondi Ue, anche se ti danno meno voti». E qui arriva uno degli appelli più accorati: «Penso che uno dei punti di debolezza del passato sia stato aver lasciato la gestione dei fondi europei soltanto agli addetti ai lavori, ai tecnici e ai burocrati». Insomma, se le Regioni non li spendono, «ci pensiamo noi. Sono per dire che la gestione di questa massa di soldi deve essere una gestione su cui vigila l’opinione pubblica e la classe dirigente». Se i soldi stanziati vanno spesi, qualcosa va fatto perché l’Europa tutta cambi verso. «Finché l’Ue considera la spesa di finanziamento nazionale inserita nei patti di stabilità il problema di capacità di spesa da parte di istituzioni nazionali e locali sarà veramente difficile da risolvere». Di fatto, secondo Renzi, «si autorizza con una mano ciò che si nega con l’altra». Di qui l’importanza di queste elezioni, rimarca. Ma, aggiunge, «noi siamo tra i principali contribuenti dell’Ue. Noi diamo più soldi di quanto ne riceviamo e siamo uno dei pochi Paesi che ha un avanzo primario positivo da anni. La politica recessiva ha bloccato la crescita». E allora basta con il mantra secondo cui «l’Italia è il problema dell’Ue e il Sud il problema dell’Italia. Il sud non è spacciato», ma basta «alibi». Il capo del governo passa in rassegna le cause che hanno paralizzato la crescita del Belpaese. Ma insieme offre le sue ricette. Contro quelle “disfattiste” di M5S. «Serve un ultimo sforzo da parte di tutti non solo per vincere le elezioni, ma soprattutto per restituire all’Italia il suo orgoglio». Il segretario del Pd si gioca la partita: «Stiamo cercando di fare ripartire l’industria. Vogliamo fare e lavorare contro chi vuole distruggere. Si può fare di più, noi siamo pronti a farlo». E già qualcosa sta dando i suoi frutti. «Quale voto di scambio – replica alle accuse – ? Restituire 80 euro agli italiani non è voto di scambio, né è una mancia. Questi sono soldi recuperati dai tagli agli sprechi nella spesa pubblica per dare una boccata d’ossigeno». Arriva qualche fischio: «Possono insultarci ma siamo quelli che diamo speranza». Di più, «affrontiamo a viso aperto i provocatori. Non li temiamo». E tra i progetti avviati, il premier inserisce anche l’Expo. «Chi vuol bene all’Italia sa che si arrestano i ladri ma non i lavori. Per questo abbiamo detto avanti con l’Expo. È una grandissima occasione non solo per Milano ma anche per l’agroalimentare calabrese. Nel settore c’è un delta da aggredire di 60 miliardi». Ancora, l’energico Renzi si ripromette di tornare per verificare cosa accade delle cose avviate. Tornerà al Sud, come al Nord e in tutto il Paese. Un monitoraggio delle misure adottate dal suo governo. E un rimpianto: «Se avessimo fatto quello che hanno fatto i tedeschi tra il 2000 e il 2010 in termini di riforme strutturali, a partire dalla riforma del lavoro, non avremmo il deficit che abbiamo, la difficoltà, non avremmo lo spread in termini di distanza tra aspettative e realtà che abbiamo oggi». Piuttosto, oggi non si può perdere un altro treno, quello delle riforme istituzionali. Qui la replica è a Silvio Berlusconi che non sembra più intenzionato a rispettare i patti. «Noi non indietreggeremo di un passo sul percorso delle riforme».
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