Corrono lungo queste contraddizioni le 328 pagine di analisi e tabelle del nuovo Rapporto sulla montagna, che la Fondazione dell’Unione nazionale dei Comuni montani ha appena ultimato e che sarà presentato mercoledì prossimo alla Camera dei deputati.
Il gap infrastrutturale che caratterizza i 4.200 Comuni italiani classificati come montani, che amministrano il 58,2% del territorio nazionale e contano 14,3 milioni di abitanti (il 24% degli italiani), è un dato storico. Il problema è legato al fatto che il gap rispetto al resto del territorio cresce, anche per una serie di scelte politiche ed economiche che rischiano di bloccare le possibilità di sviluppo di questi territori, sempre più legate al settore dei servizi.
Il lungo contenzioso con Poste, che prevede di dimezzare la corrispondenza in 4.721 piccoli Comuni considerati “periferici” e che secondo il viceministro Enrico Costa rischia di esporre l’Italia a una procedura di infrazione Ue, è solo l’ultima di una serie di “razionalizzazioni” che hanno visto la montagna come luogo da abbandonare più che da sviluppare. I “buchi” nel sistema scolastico, ricordati sopra, si sono allargati con la riforma avviata nel 2008 per ridurre i costi tagliando il numero delle sedi.
Oggi il problema si allarga alle strade, la cui manutenzione è in corso di abbandono da parte delle Province. A dirlo sono gli stessi sindaci dei Comuni montani, interpellati dal Rapporto in un censimento ad ampio raggio delle loro opinioni su problemi e opportunità del territorio che amministrano. Alla voce «riforma delle Province», il 75,5% dei sindaci dice di preoccuparsi delle ricadute sulla viabilità e le reti di mobilità, mentre solo un sindaco su tre lamenta un problema di riduzione della rappresentanza politica.
Anche in questo caso, i colpi portati da una riforma che rimane invischiata fra resistenze territoriali e difficoltà di applicazione nazionali rischiano di affondare una situazione già compromessa. Alla richiesta di dare un voto “scolastico” (da 1 a 10) alla condizione di infrastrutture e servizi sul territorio, gli amministratori dei Comuni di montagna affibbiano in media un «4,8» ai collegamenti stradali, e un voto analogo («4,9») ai trasporti pubblici, in particolare su gomma. Proprio questi ultimi avrebbero dovuto sostituire in molti Comuni i servizi ferroviari, che sono stati oggetto di una profonda “razionalizzazione” negli ultimi anni e infatti ottengono dai sindaci il voto peggiore: «3».
Sono questi, spiega il Rapporto, gli ostacoli allo sviluppo di un territorio che però rimane ricco di potenzialità legate sia alla diffusione dell’economia dei servizi (nel 40% dei sistemi locali il peso del terziario è superiore al 71,7% del valore aggiunto totale, che rappresenta la media nazionale) sia alla tenuta dell’agricoltura, che in montagna perde meno superfici che in pianura.
«Questi numeri – riflette Enrico Borghi, presidente della Fondazione montagna e presidente dell’Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna – evidenziano la funzione strategica di uno spazio che troppo spesso sfugge alla politica nazionale. La montagna è fatta anche di distretti produttivi che innovano e competono sul piano internazionale, e hanno bisogno di servizi adeguati».
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