La scure di Pietro Grasso arriva tra le proteste delle opposizioni quasi all’ora di pranzo, dopo che l’Aula del Senato ha commemorato Pietro Ingrao: i 72 milioni di emendamenti presentati dal leghista Roberto Calderoli (inizialmente erano 85 milioni, ma lo stesso Calderoli ha ritirato la scorsa settimana quelli relativi all’articolo 1 e all’articolo 2) sono semplicemente «irricevibili». Non dunque inammissibili, perché per dichiararne l’inammissibilità bisognerebbe prima esaminarli. «Ci vorrebbero 17 anni per esaminare 72 milioni di emendamenti: un numero oggettivamente abnorme», dice Grasso. Restano invece sul campo – è la decisione del presidente del Senato – i 500mila emendamenti calderoliani dichiarati ricevibili dalla presidente della prima commissione Anna Finocchiaro e presentati in commissione prima che il Ddl Boschi passasse direttamente in Aula senza relatore. Togliendo quelli all’articolo 1 e 2, già ritirati appunto da Calderoli, ne restano 380mila, ai quali vanno aggiunti i 3.500 di merito presentati da tutte le altre opposizioni. Dunque il calcolo finale è 383.500. In Senato si calcola che alla fine quelli che verranno discussi davvero in Aula saranno tra i 3mila e i 3.500: oltre al vaglio sull’ammissibilità (oggi Grasso si esprimerà sugli emendamenti all’articolo 1 e solo giovedì sull’ammissibilità di quelli all’articolo 2), si dà per scontato che la maggior parte della mole di quasi 400mila siano “cangurabili”. L’obiettivo di Grasso è proprio quello di far discutere i senatori sul merito evitando se possibile la “tagliola” che scatta a ridosso del 13 ottobre, data di approvazione finale prevista dal calendario votato dall’Aula.
La maggioranza è certo soddisfatta della decisione di Grasso, ma non del tutto. Perché, come fa notare il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti, «è stato posto un limite al sabotaggio, ma l’ostruzionismo rimane». Meglio sarebbe stato accogliere il “lodo Russo”: dichiarare cioè irricevibili tutti gli emendamenti sfornati da computer senza controfirma del proponente. L’auspicio del governo era che Grasso si pronunciasse subito su tutti gli emendamenti. Perché, spiega ancora Pizzetti, fino a quando non si sa se verranno dichiarati ammissibili gli emendamenti all’articolo 2 e se verrà rispettato il principio della non emendabilità laddove ci sia già stata una doppia lettura conforme, è difficile avviare un confronto sui nodi irrisolti. Come la questione delle norme transitorie sull’elezione del Senato dell’Autonomia, approvate in copia conforme e che la minoranza vorrebbe cambiare (la riforma prevede che la legge ordinaria che disciplinerà le modalità di elezione dei senatori sia approvata entro sei mesi dalle elezioni politiche, mentre la minoranza vuole cambiare in «entro sei mesi dall’approvazione della riforma»).
In ogni caso il premier continua a ribadire tranquillità sui numeri in vista delle prime votazioni di oggi, possibili anche a scrutinio segreto: «Se Silvio Berlusconi decide di votare la riforma sono contento – fa sapere da New York – ma se non vota per me non cambia nulla perché vinceremo».
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento