Le «spiagge libere» possono attendere. Anzi, si possono anche non fare. Il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ha annunciato lo stop alle trattative per applicare la «direttiva servizi» europea che liberalizza le concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative. Niente più gare ad evidenza pubblica a partire dall’1 gennaio 2016, come prevede la Bolkenstein, almeno secondo le intenzioni del governo che ha recepito un ordine del giorno del Pdl e ora giocherà la sua partita su due fronti. Primo, il tentativo di prorogare la scadenza delle attuali concessioni al 2030; secondo, quello di «verificare in sede europea la possibile esclusione delle concessioni demaniali dalla direttiva servizi» come ha spiegato lo stesso Fitto. L’Italia, una volta passato il provvedimento in Consiglio dei Ministri, proverà a convincere l’Europa, spiegandogli che la direttiva Bolkenstein di liberalizzazione dei servizi non è applicabile ai concessionari di beni statali come gli imprenditori balneari. La spiaggia, secondo il Governo, non è un servizio ma un bene, per questo non va liberalizzata. Peccato però che con l’aria che tira ultimamente tra Roma e Bruxelles, non sarà un gioco da ragazzi portare a casa il risultato. Quel che colpisce, comunque, è il deciso cambio di rotta del governo, perché da mesi Fitto stava lavorando a tutt’altro: un accordo con le Regioni sostenuto da un documento unitario delle associazioni di categoria (ormai carta straccia, o quasi) in vista di una «legge quadro» dove inserire i criteri per tutelare gli attuali gestori di stabilimenti balneari, senza però mettere in discussione la direttiva. In poche parole, qualche clausola ad hoc per «favorire» nelle gare chi ha investito e lavorato per decenni sulle spiagge, evitando che la «multinazionale della tintarella» possa aggiudicarsi la concessione lasciando con un pugno di sabbia (è proprio il caso di dirlo) gli imprenditori balneari. La virata del governo è arrivata soprattutto in seguito alle divergenze sorte tra i sindacati: la linea «riminese» tenuta dalla Oasi-Confartigianato di Giorgio Mussoni, e sponsorizzata dall’onorevole Pdl del capoluogo romagnolo Sergio Pizzolante, ha infatti subito un duro colpo visto che l’ipotesi di applicare la direttiva garantendo qualcosa ai «bagnini» (così si chiamano a Rimini) è stata al momento accantonata. E il ministro Fitto, che se ne era fatto pure lui interprete, una volta sfumata questa possibilità per l’opposizione delle altre sigle, ha pensato bene di fermare i lavori della Conferenza Stato-Regioni girando la «patata bollente» al Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, «per valutare la percorribilità delle richieste avanzate dalle associazioni di categoria». In particolare, quelle di Sib-Confcom-mercio e e Fiba-Confe-sercenti che la settimana scorsa avevano portato a Roma i loro associati per protestare contro la linea del governo di recepimento della direttiva che, secondo loro, mette a rischio 30mila imprese balneari. E tanto per essere chiari, la Confcommercio ha pure parlato di «danni irreparabili» nel caso venisse accolta la proposta di Confartigianato. Nella lotta intestina tra bagnini, alla fine l’hanno spuntata quelli di Lazio, Toscana e Abruzzo sui colleghi riminesi che però possono contare sul sostanziale appoggio della Regione Emilia-Romagna.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento