Il comune incassa anche il danno alla «credibilità politica» per l’inadempimento del fornitore: la risoluzione del contratto impone di ristorare la lesione all’immagine dell’amministrazione presso i cittadini-elettori. Non paga soltanto i danni patrimoniali il fornitore del comune che si vede risolvere il contratto per inadempimento: l’impresa rivelatasi negligente nell’esecuzione della prestazione pattuita è tenuta anche a rifondere il pregiudizio arrecato all’immagine dell’amministrazione locale, che viene lesa nella sua credibilità politica presso i cittadini. Lo precisa la sentenza 4542/2012, pubblicata il 22 marzo dalla terza sezione civile della Cassazione.
Danno alla popolarità. Confermata la condanna a carico di un’azienda rea di aver noleggiato al comune una tensostruttura che alla prova dei fatti si è dimostrata fatiscente, nonostante gli «altolà» della commissione provinciale di vigilanza. Insomma: l’amministrazione ci ha messo la faccia e ha rimediato una figuraccia perché la struttura inadeguata è stata utilizzata per spettacoli organizzati nell’ambito di una manifestazione culturale su cui pure la giunta puntava molto. E la società dovrà pagare 100 mila euro di danni all’ente locale per aver compromesso lo svolgimento della stagione teatrale all’aperto. Vediamo perché. È pacifico, intanto, che anche le persone giuridiche, accanto a quelle fisiche, possano ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale: non conta, peraltro, se la lesione scaturisce da una responsabilità contrattuale o aquiliana. È vero: nel caso di enti collettivi il risarcimento scatta per la «lesione di diritti della personalità che altrettanto garantiti delle persone fisiche che compongono l’ente». Ma proprio per questo sbaglia l’azienda inadempiente a dolersi del risarcimento liquidato all’amministrazione: la decisione di noleggiare la tensostruttura per realizzare un’iniziativa culturale scaturisce dall’esigenza acquisire una maggiore considerazione presso i cittadini-elettori: è allora evidente che la reputazione e il prestigio costituiscono beni essenziali anche per il comune, che sul rapporto con gli amministrati si gioca la sua credibilità da portare «all’incasso» alle successive elezioni. Insomma: non c’è dubbio che il calo di popolarità, inteso come diminuzione della considerazione presso i consociati, sia un danno non patrimoniale immediatamente risarcibile per gli enti territoriali rappresentativi.
Due profili. La spiegazione è offerta dagli stessi giudici con l’ermellino: anche le persone giuridiche, tra cui vanno compresi gli enti territoriali esponenziali, come per esempio i comuni, possono essere lesi in quei diritti immateriali della personalità, che sono compatibili con «l’assenza di fisicità». Qualche esempio? I diritti all’immagine, alla reputazione, all’identità storica, culturale, e politica che sono protetti dalla Costituzione: ecco perché in tale ipotesi le amministrazioni ben possono agire per il ristoro del danno. Va ricordato poi che nell’ipotesi di lesione dell’immagine della persona giuridica o di un ente territoriale, il danno non patrimoniale, in quanto tale, deve essere necessariamente liquidato alla persona giuridica o all’ente in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. Insomma: il giudice di secondo grado non ha sbagliato a condannare l’impresa.
Il danno alla «credibilità politica» risulta liquidabile come conseguenza della diminuzione della considerazione del comune da due punti di vista: sotto il profilo dell’incidenza negativa che la diminuzione comporta nell’agire del sindaco e della giunta e anche rispetto al calo di popolarità presso i cittadini in genere o presso settori o categorie di essi con le quali l’ente di interagisce di solito. Il danno non patrimoniale, dunque, va inteso come un classico danno-conseguenza previsto dall’ordinamento giuridico. All’azienda non resta che pagare le spese processuali.
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