Non passa giorno senza che l’Italia venga richiamata all’ordine sul terreno scottante della politica economica. Il Fmi chiede misure per ridare slancio all’economia, mentre la Banca centrale europea esorta al risanamento del debito. Ieri la Commissione Ue ha lanciato l’idea che il versamento di fondi comunitari alle regioni più povere venga condizionato a conti pubblici in ordine e sia il più efficiente possibile. Tra le righe, come non capire che l’Italia (ancora una volta) è uno dei Paesi presi di mira? Si paga così ulteriormente “il rischio Italia”. Le autorità comunitarie, d’altronde, non hanno torto. Che senso ha aiutare finanziariamente Paesi fortemente indebitati e che non compiono sufficienti sforzi per ridurre il proprio debito pubblico? Su questo fronte, peraltro, l’Italia è doppiamente colpevole nell’ennesimo limite allo sviluppo e alla crescita che si viene a creare. Perché il tutto si aggiunge all’incapacità manifesta nello sfruttare al meglio le preziose risorse Ue. Secondo una recentissima rilevazione, siamo al terz’ultimo posto nell’utilizzo dei fondi Ue, davanti alla Bulgaria e alla Romania, ma dietro alla Lituania o all’Estonia, con una media appena sopra al 18 per cento.
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