La fissazione del tetto del recupero sulle somme illegittimamente inserite nel fondo entro un numero di anni non superiore a quello in cui questi errori sono stati compiuti colma un vuoto della legislazione. Il Dlgs 150/2009 stabiliva infatti che il recupero dovesse essere fatto nella sessione contrattuale successiva. Ma l’entrata in vigore di questa disposizione era espressamente rinviata alla stipula del nuovo contratto nazionale. Sulla base dei principi generali questa disposizione non si applica ai recuperi già avviati dalla singole amministrazioni prima della entrata in vigore del Dl 16/2014.
Il recupero delle somme illegittimamente inserite nel fondo è un obbligo e, nella sua effettuazione, non maturano interessi. Gli enti non possono superare il numero di esercizi in cui l’illegittimità è stata compiuta, ma non hanno specifici obblighi di ripartizione nel corso di questi esercizi. Spetta alle amministrazioni decidere la quantità di risorse da prelevare annualmente: la scelta è oggetto di informazione ai soggetti sindacali.
Il recupero può essere effettuato in tre modi. In primo luogo, con la sottrazione di risorse dal fondo per le risorse decentrate: queste risorse vanno considerate spese. In secondo luogo, applicando le previsioni sul prepensionamento previste dai Dl 95/2012 e 101/2013. Quindi dichiarando in sovrannumero i dipendenti che avrebbero già maturato o maturerebbero entro la fine del 2016 i requisiti per il collocamento in quiescenza sulla base dei requisiti precedenti alla legge cd Fornero. Il risparmio è pari alla differenza di trattamento economico dei dipendenti tra il momento del collocamento in quiescenza e la data in cui lo sarebbero stati sulla base delle norme attualmente in vigore. Il terzo strumento per effettuare il recupero è limitato alle sole amministrazioni che hanno rispettato il Patto: si consente di destinare a questo scopo tutti i risparmi derivanti dai piani di razionalizzazione.
I principali errori che hanno determinato l’inserimento in modo illegittimo di risorse nel fondo sono i seguenti: utilizzazione errata dell’articolo 15 comma 5 del contratto nazionale del 1° aprile 1999 e, per i dirigenti, dell’articolo 26, comma 3, del contratto nazionale del 23 dicembre 1999 (cioè delle integrazioni al fondo per l’aumento del personale e/o per l’attivazione di nuovi servizi); utilizzazione errata dell’articolo 15, comma 2, del contratto nazionale del 1° aprile 1999 (che consentono l’aumento del fondo fino allo 1,2% del monte salari 1997); uso illegittimo delle norme che consentivano alle amministrazioni virtuose di inserire risorse nel fondo; calcolo errato del monte salari; mancata decurtazione del trattamento economico accessorio in godimento da parte del personale Ata; mancata decurtazione per il finanziamento del reinquadramento dei vigili e dei dipendenti delle vecchi prima e seconda qualifica. Tra gli errori si deve segnalare anche quello del mancato finanziamento del differenziale delle progressioni, cioè degli aumenti disposti dai contratti nazionali sulle singole posizioni, un errore che priva il fondo di risorse che legittimamente andavano inserite.
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