Dopo sei mesi di negoziato, la Commissione europea e il governo italiano hanno firmato ieri un accordo di partenariato sull’uso in Italia di 43,1 miliardi di euro in fondi europei nel periodo 2014-2020. Nell’intesa, l’esecutivo comunitario ha insistito perché le autorità nazionali e regionali che si candidano all’utilizzo del denaro europeo preparino «un piano di rafforzamento amministrativo», per evitare gli sprechi che hanno segnato l’uso dei soldi comunitari nei decenni scorsi.
Il pacchetto da 43,1 miliardi di euro prevede 32,2 miliardi in fondi per la politica di coesione, 10,4 miliardi per lo sviluppo rurale e 537,3 milioni per il settore marittimo e per la pesca. Una parte sostanziosa della prima voce di spesa andrà alle cinque regioni meno sviluppate del paese (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia). Alle regioni in transizione andranno 1,3 miliardi (Sardegna, Abruzzo, Molise). Il resto – 7,6 miliardi – è riservato alle altre regioni, quelle più sviluppate.
Nel negoziare l’accordo di partenariato, un documento strategico di duemila pagine, Bruxelles e Roma hanno cercato un delicato equilibrio tra progetti a scopo congiunturale e progetti con enfasi strutturale. Con il nuovo pacchetto, Italia e Commissione vogliono aumentare «gli investimenti privati nell’ambito (…) dell’innovazione», «realizzare infrastrutture efficienti», accrescere «la qualità dell’istruzione e della formazione», ammodernare e potenziare «le istituzioni del mercato del lavoro».
Bruxelles e Roma si sono date anche degli obiettivi cifrati da raggiungere entro la fine del 2020: tra le altre cose, l’accordo di partenariato prevede che la spesa in ricerca e sviluppo debba passare in Italia dall’1,26% all’1,53% del prodotto interno lordo e che il collegamento Internet a 30 mbps (megabyte per second) registri una copertura del 100% del territorio nazionale, mentre il collegamento Internet a 100 mbps copra entro la fine del decennio il 50% del paese. L’accordo di partenariato prevede circa 50 programmi operativi, molti dei quali sono ancora oggetto di negoziato con Bruxelles. Mancano ancora all’appello i programmi di Sicilia, Campania e Calabria. «C’è il nostro impegno a terminare il negoziato entro la fine dell’anno – ha spiegato ieri alla stampa Nicola De Michelis, un funzionario del dipartimento Politiche Regionali della Commissione -; altrimenti c’è il rischio che i progetti non possano partire prima della metà del 2015». L’esecutivo comunitario fa notare che il ritardo dipende da vari fattori: dalla stessa approvazione ritardata del bilancio comunitario, ma anche da rallentamenti italiani. Per decenni, l’uso del denaro comunitario è stato oggetto di inefficienze amministrative, se non addirittura furti e frodi.
Spesso il paese non è riuscito a usare l’intero pacchetto a sua disposizione. Nonostante recenti miglioramenti ciò potrebbe accadere anche per il periodo 2007-2013, ha avvertito De Michelis.
La grave crisi economica sembra però aver modificato in parte l’atteggiamento italiano. È aumentata la consapevolezza che in un momento di ristrettezze finanziarie il denaro comunitario non può essere sprecato per insipienza e inefficienza. Secondo gli ultimi dati ufficiali del governo italiano, la percentuale di fondi europei provenienti dal bilancio 2007-2013 ed effettivamente utilizzata è attualmente intorno al 60% del totale, in miglioramento rispetto agli anni passati.
«Abbiamo ottenuto una novità non prevista dai regolamenti – ha detto De Michelis -. Ogni autorità che si candida all’uso del denaro dovrà presentare un piano di rafforzamento amministrativo». Questo piano sarà preso in conto nell’approvazione dei singoli progetti, ma non sarà condizione ex ante. Ciò detto, anche le ultime raccomandazioni-paese chiedono all’Italia sforzi per modernizzare la funzione pubblica. In mancanza di questi sforzi, le regole europee prevedono il blocco dei fondi comunitari.
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