Mentre una certa parte del ceto politico italiano implode nei litigi, sono in corso importanti riforme economico-finanziarie. E’ il caso del federalismo fiscale la cui attuazione prosegue nel rispetto del principio di sussidiarietà che è democratico, coerente all’unità nazionale, europeista. Si tratta di un cambiamento istituzionale sostanzialmente «bipartisan» in corso che sana anche una grave contraddizione causata dal fatto che il «federalismo amministrativo» (Riforma Bassanini del 1997) e il «federalismo legislativo» (riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, promossa dal governo Amato) avevano molto ampliato le funzioni delle Regioni e degli enti locali senza attribuire agli stessi adeguate fiscalità proprie. Così mentre il potere di spesa (al netto delle pensioni e del servizio del debito pubblico) era diviso ametà tra Stato da un lato e Regioni-enti locali dal-l’altro, questi ultimi avevano entrate fiscali proprie inferiori al 18% ricevendo il resto con trasferimenti dal centro. Il tutto risultava peggiorato dal criterio della spesa storica con i trasferimenti attuati dallo Stato in base ai livelli di spesa dell’anno precedente. Il «federalismo fiscale» era perciò un passo irrinunciabile e urgente e a questo si è dato avvio con la legge delega 42 del maggio 2009 che supera la citata contraddizione per attuare l’art.119 della Costituzione. La legge 42 è assai apprezzabile sia per il metodo che per il merito. Il metodo è stato quello della condivisione che dal settembre del 2008 ha visto una serie di passaggi sia nella Conferenza unificata (istituita nel 1997 e composta dalla Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, cioè Regioni, Province, Comuni e Comunità montane) sia in Parlamento. Per questo la legge 42 è stata approvata con i voti favorevoli della maggioranza governativa e con l’as-tensione costruttiva di quasi tutta l’opposizione. Quanto al merito, l’articolo 1, in linea con il 119 della Costituzione, è chiarissimo nel combinare sia i principi di efficienza e di responsabilità di entrata e di spesa degli enti territoriali locali con quelli di solidarietà e di coesione sociale sia i principi di sostegno ai territori con minore capacità fiscale per abitante e del superamento del dualismo territoriale nazionale con quelli del risanamento dei bilanci e delle sanzioni per gli organi amministrativi e di governo che deroghino al buon uso della finanza pubblica. In questa impostazione ritroviamo molti aspetti di quanto elaborato nel tempo da vari soggetti e studiosi indipendenti, anche particolarmente sensibili alla solidarietà responsabile. Dunque da più di un decennio il problema non è più quello sul fare il federalismo fiscale in Italia ma quello di farlo bene tenendo adesso la tempistica prevista dalla legge 42 che prefigura un periodo di 7 anni di cui 2 anni per l’attuazione e 5 di regime transitorio. È perciò buona cosa che i decreti legislativi attuativi della legge 42 seguano una procedura di concertazione interistituzionale con una articolazione garantista che coinvolge governo, Parlamento (varie commissioni e la Commissione bicamerale per il federalismo fiscale), Regioni ed enti locali, Conferenza unificata. Un importante ruolo di raccolta dati, istruttoria e consulenza è svolto dalla Commissione tecnica paritetica, presieduta con competenza da Luca Antonini, autore di molti studi sulla sussidiarietà e sul federalismo. Vi è dunque ampio spazio sia tecnico che politico, e quindi democratico, per contribuire alla attuazione del federalismo fiscale che procede per ora con serietà e competenza. Il governo ha già varato quattro decreti attuativi della legge 42 tra la fine di maggio e i primi di agosto: quello sul federalismo demaniale che è definitivo; quelli su Roma Capitale, sui fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province, quelli sul federalismo fiscale municipale che sono stati formulati in via preliminare per iniziare la procedura di approvazione sopra descritta. Impossibile entrare qui nell’analisi di questi provvedimenti ma tre osservazioni sono necessarie. La prima riguarda il parere positivo (sia pure preliminare) della Corte dei Conti (che di patrimonio pubblico si intende di certo) sul decreto per il federalismo demaniale da altri criticato come «svendita» e quello della Associazione dei Comuni Italiani che per il decreto sul federalismo municipale ha parlato di fase nuova, fatta di responsabilità e autonomia. La seconda è la relazione del ministro Tremonti, sul federalismo fiscale, fatta il 30 giugno al Consiglio dei ministri e poi trasmessa al Parlamento. Se ne evince come da questa riforma passi anche una buona fetta della riforma fiscale complessiva avvicinando prelievo tributario e spesa pubblica, un miglior controllo della spesa in base ai costi standard per la fornitura di servizi, un recupero dell’evasione. La terza osservazione, riproposta da Franco Bassanini, che porta anche alcune acute critiche costruttive, riguarda la necessità di modifica della Costituzione per ridurre le materie a legislazione concorrente tra Stato e Regioni, per introdurre una clausola di supremazia federale, per istituire il Senato federale. In un momento difficile per l’Italia, dovrebbe dunque prevalere una priorità, anche tramite il federalismo: quella di combinare, lo sviluppo e l’unità nazionale.
Federalismo e sussidiarietà (ben) combinati aiuteranno l’Italia
Cambiamenti istituzionali «bipartisan»
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