“Il federalismo municipale proposto dal Governo potrebbe provocare un ammanco nelle casse dei comuni compreso tra 1,9 e 2,2 miliardi di euro nel 2011. Ciò metterebbe a rischio la coesione nazionale allontanando le aree del Paese più deboli da quelle più forti. Nel 2014, a regime, le minori entrate salirebbero tra 2,2 e 3 miliardi di euro”. Sono i principali risultati di un’analisi dello schema di decreto legislativo curata da Antonio Misiani, responsabile federalismo fiscale di Legautonomie e membro della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. Intanto uno studio del Centro Studi Sintesi di Venezia dimostra che circa l`80% delle tasse versate annualmente dai cittadini finiscono nelle casse dello Stato.
LO STUDIO DI LEGAUTONOMIE
Secondo Misiani il nuovo quadro finanziario dei comuni definito dallo schema di d.lgs. sul federalismo municipale presenta rilevanti limiti e contraddizioni. Per quanto riguarda la fase transitoria (2011-2013) – spiega Misiani – sono tre i nodi da affrontare:
le risorse: le entrate comunali risultano fortemente decurtate rispetto alla situazione di partenza, poiché la riduzione dei trasferimenti erariali disposta con il d.l. 78/2010 (1,5 miliardi nel 2011 e 2,5 miliardi dal 2012) contrariamente agli impegni non viene recuperata e l’introduzione della cedolare secca produrrà per i comuni consistenti minori entrate rispetto all’attuale gettito Irpef sulle locazioni. Di conseguenza, nel 2011 i comuni registrerebbero minori entrate da 1.873 a 2.198 milioni e a regime, nel 2014, da 2.215 a 2.973 milioni.
Le entrate devolute saranno inoltre soggette ad una notevole volatilità, a causa del peso rilevante delle imposte sui trasferimenti immobiliari. Per questo, spiega lo studio, è necessario recuperare i tagli ai trasferimenti, prevedere una clausola di salvaguardia efficace per tutto il periodo transitorio e diversificare le fonti di entrata riducendo il peso delle imposte sui trasferimenti immobiliari a favore di una compartecipazione dinamica Irpef o Iva;
la perequazione: la sostituzione degli attuali trasferimenti con imposte caratterizzate da una forte sperequazione territoriale rende necessario un efficace sistema di riequilibrio. Il Fondo sperimentale risponde solo in parte a questa esigenza: va perciò meglio definito nei suoi meccanismi di alimentazione e riparto, avvicinandolo ai criteri stabiliti dalla legge 42/2009 e anticipando al 2014 l’entrata a regime del Fondo perequativo definitivo;
l’autonomia impositiva: fino al 2014 ai comuni non viene garantito alcun margine reale di autonomia. Sarebbe invece necessario superare (con opportuni elementi di gradualità e selettività) il blocco delle aliquote. Se venisse confermata l’introduzione della cedolare secca sugli affitti, bisognerebbe valutare l’opportunità di renderla obbligatoria trasformandola in una Imposta comunale sugli affitti (Ica) manovrabile.
“L’assetto a regime (dal 2014) del federalismo municipale – continua Antonio Misiani – non appare coerente con i principi e gli obiettivi della Legge 42/2009, sia sotto il profilo del legame tra tassazione e rappresentanza che dal punto di vista del grado effettivo di autonomia finanziaria garantito ai comuni”. Per riportare il sistema nel solco dell’articolo 119 della Costituzione e della legge-delega, questa la ricetta, è “innanzitutto necessario rivedere il nuovo assetto delle entrate tributarie comunali: ridimensionare o sopprimere l’Imup-trasferimento, troppo sperequata sul territorio e variabile nel tempo per rappresentare un’adeguata fonte di finanziamento dei comuni; eliminare l’Imus, assai discutibile nei suoi meccanismi e in contraddizione con l’obiettivo di semplificare il sistema tributario; introdurre una service tax manovrabile che assorba la Tarsu ed altri tributi comunali minori; attribuire ai comuni la possibilità di istituire una o più imposte di scopo, così come stabilito dalla legge-delega; prevedere, a “chiusura” del sistema, una compartecipazione Irpef o Iva per integrare le fonti di entrata comunali e finanziare il fondo perequativo”.
LO STUDIO DI CSS
Nei Paesi federali le entrate tributarie si dividono quasi equamente tra Stato centrale ed amministrazioni, mentre nei Paesi unitari lo Stato fa la parte del leone: In Italia, infatti, circa l`80% delle tasse versate annualmente dai cittadini finiscono nelle casse dello Stato. È questo il principale risultato di un’analisi realizzata dal Centro Studi Sintesi di Venezia, con l’obiettivo di verificare il grado di decentramento fiscale nei principali Paesi europei: nello specifico, due federali (Germania e Spagna) e due non federali (Francia e Italia). In Italia – si legge – il 79,1% delle entrate tributarie si riferiscono alle amministrazioni centrali , mentre il rimanente 20,9% sono costituiti dai tributi “propri” di regioni ed enti locali. Con la riforma federalista, l’Italia dovrebbe avvicinarsi al tasso di decentramento di Paesi federali come Spagna (54,4%) e Germania (49,3%), distanziandosi sempre più da un sistema di finanza derivata come quello francese (20,7%). Secondo lo studio, l’Italia paga un decennio di immobilismo nell’attuazione del nuovo titolo V della Costituzione (2001), la riforma che ha concesso più poteri e responsabilità alle amministrazioni periferiche. Nel 2000 – sottolinea – il grado di decentramento era pari al 20,6%, ovvero solo lo 0,3% in meno rispetto al 2009. In Spagna, invece, le riforme istituzionali di inizio decennio si sono concretizzate subito in maggiori risorse per le autonomie locali. Prova ne è che il grado di decentramento tributario è praticamente raddoppiato nell’arco di pochissimi anni. La Germania, invece, si conferma un Paese a tradizionale vocazione federale, in cui Stato centrale e Lander (con gli enti locali) di fatto si dividono equamente la torta delle entrate tributarie. Negli ultimi anni anche la Francia ha progressivamente fatto registrare una crescita del grado di decentramento, a conferma di una tendenza che riguarda ormai molti Paesi europei. “È necessario avvicinare il nostro Paese ai modelli istituzionali dei Paesi europei federali. L’attuazione della legge sul federalismi fiscale – affermano i ricercatori del Centro Studi Sintesi – dovrà prioritariamente costruire un assetto istituzionale e finanziario il più possibile legato ad entrate autonome e direttamente manovrabili da regioni ed enti locali. È anche attraverso questo modo che si realizzerà una migliore gestione della cosa pubblica, avvicinando cioè la cosa tassata alla cosa amministrata”.
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