Rispetto ai dati fiscali, la fattura Pa risulta gravata di ulteriori contenuti amministrativi, il che comporta nuovi e inevitabili problemi applicativi.
Si consideri, ad esempio, il caso di ricevimento di fatture cartacee emesse dal 31 marzo in poi. Secondo la circolare 1/14 del Dipartimento delle Finanze, in tali casi «non è consentita l’emissione di una seconda fattura in formato elettronico. Non sarebbe in effetti possibile emettere note di accredito a storno delle fatture cartacee già emesse perché queste ultime non presentano alcuni dei vizi che ne permettono una rettifica ai fini Iva».
Resta peraltro il fatto che la fattura cartacea non potrà essere pagata, dal momento che – per esplicita previsione della norma istitutiva dalla fattura Pa (articolo 1, comma 210 della legge 244/07) – le pubbliche amministrazioni non potranno più accettare fatture cartacee, né effettuare alcun pagamento sino all’invio della fattura stessa in forma elettronica.
Rispetto alle indicazioni della circolare 1/14, la riemissione in forma elettronica della fattura sembra dunque imporsi per forza di cose. Anche qui, tuttavia, occorre fare i conti con l’articolo 21, comma 1, ultimo periodo del decreto Iva, secondo cui la fattura si intende emessa all’atto della sua spedizione o trasmissione telematica. Rispetto alla fattura cartacea emessa per errore, la nuova fattura elettronica verrà con ogni probabilità inviata in un momento successivo, in violazione dell’articolo 21: da qui l’opportunità di un chiarimento ministeriale volto a precisare la non sanzionabilità della riemissione di una fattura elettronica che fa seguito a una precedente fattura erroneamente emessa in forma cartacea.
Resta poi da chiarire il significato del termine «accettazione» delle fatture Pa riportato nell’articolo 1 della legge 244/07, oltre che del suo simmetrico – il rifiuto della fattura Pa – cui fa cenno la circolare 1/14 per il caso di fatture elettroniche non attribuibili all’amministrazione.
Per la sua stessa natura di documento destinato a produrre effetti simmetrici e opposti rispetto alle controparti, una fattura può essere annullata o rettificata attraverso un successivo documento di accredito. Per l’ipotesi di rifiuto resterebbero a questo punto da chiarire i riflessi Iva in capo al fornitore che si vedesse respingere la fattura: dovrebbe emettere una nota di accredito a uso interno?
Ulteriori chiarimenti si rendono necessari per l’ipotesi di ricevimento di fatture elettroniche irregolari sotto il profilo amministrativo, perché ad esempio sprovviste del codice Cig o Cup; nell’evenienza, le Pa non possono procedere al pagamento delle fatture (Dl 66/14, art. 25).
Se il fornitore fosse informato dell’irregolarità entro 15 giorni dal momento della ricezione della fattura da parte della Pa, potrebbe inviare un nuovo file con la stessa data di emissione e lo stesso numero della fattura rifiutata (sempreché l’Agenzia non riscontri una violazione dell’articolo 21 circa la contestualità dell’emissione e dell’invio delle fatture).
In tal caso, l’emissione di nota di accredito seguita da una nuova fattura corretta, di per sé semplice e ragionevole, potrebbe risultare problematica per due ordini di motivi:
perché, come precisato dalla circolare 1/14, una fattura che sotto il profilo fiscale risulta corretta non può essere successivamente oggetto di (nota di) variazione;
perché la nota di accredito vale ad annullare (o rettificare) una precedente fattura, non anche a giustificare l’emissione di una fattura successiva, la quale risulterà inevitabilmente tardiva rispetto al momento in cui l’operazione (che aveva dato origine alla prima fattura) è avvenuta.
Da qui l’opportunità (meglio: la necessità) di un intervento ministeriale volto a confermare la non sanzionabilità di fatture riemesse tardivamente, in quanto carenti di dati non fiscali.
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