Presidente, come giudica la situazione della programmazione 2007-2013, anche alla luce dei ripetuti interventi di riprogrammazione? Piano città, opere pubbliche incompiute ed efficientamento energetico degli edifici pubblici erano tra le priorità prese in considerazione per dirottare le risorse impegnate su progetti troppo lenti. Cosa sta succedendo?
La spesa italiana, come dimostrano i dati, va a rilento. Ciò è dovuto certamente anche al periodo di crisi che rende difficile spendere risorse che, per gli enti locali, vanno cofinanziate e che per le imprese implicano investimenti e credito da parte del sistema finanziario. La riprogrammazione è stata necessaria, ma ha avuto effetti positivi soprattutto sull’avanzamento della spesa nelle regioni della Convergenza. Questo è frutto del buon lavoro fatto dal Ministro Barca.
La città ha partecipato ai bandi promossi dal Governo (Piano nazionale per le Città) per dare corso alle nuove misure volte a rimettere in moto l’economia del Paese a partire dalle opere pubbliche.
Ci aspettavamo una maggiore velocità nelle procedure di assegnazione dei fondi, che vanno molto a rilento. Mentre la Città, con i suoi progetti, è pronta ad aprire i cantieri.
Sull’efficientamento energetico degli edifici pubblici si potrebbe fare molto di più, soprattutto permettendo agli enti di sforare dal patto di stabilità per quelle operazioni virtuose che hanno un ritorno degli investimenti in pochi anni e che avrebbero come risultato finale un abbattimento dei costi energetici degli enti.
Guardando alla prossima fase di fondi strutturali, la dimensione urbana emerge tra le priorità strategiche, sia sul piano delle risorse (ad esempio grazie alla soglia minima del 5% del FESR da utilizzare per lo sviluppo urbano), sia rispetto a nuovi strumenti, come nel caso degli investimenti territoriali integrati (integrated territorial investment), che consentiranno di mobilitare più fondi per il rilancio delle aree urbane. I comuni italiani sono pronti per queste sfide? Quanto sono e saranno coinvolte le città nella pianificazione dei nuovi fondi?
I nostri uffici stanno da molto tempo studiando i temi della nuova programmazione. Alle città, e questo è riconosciuto sia nei regolamenti europei, sia nelle prese di posizione della Commissione durante il loro iter di approvazione, va delegata la gestione dei fondi a loro affidati, in modo da ridurre i passaggi e le procedure di definizione degli interventi.
Le Città che hanno un piano strategico di sviluppo sanno ciò su cui occorre puntare e come investire le risorse europee, ed hanno accumulato, nelle ultime tre programmazioni, una notevole esperienza nella gestione diretta dei fondi strutturali. Vanno dunque valorizzate ed incoraggiate. In questo senso, sia che la riserva di fondi per le aree urbane sia gestita in un PON nazionale, sia che rimanga all’interno dei POR regionali, le città vanno maggiormente coinvolte e a loro va riconosciuta autonomia e possibilità di programmazione nel quadro di riferimento degli strumenti europei e nazionali e regionali.
Ritiene che il dibattito sulla possibilità di introdurre “programmi operativi urbani” con fondi europei gestiti direttamente dalle grandi città sia chiuso oppure l’idea potrebbe risorgere in futuro, magari sulla base di scelte operate a livello di singolo paese membro?
Le Città hanno già fatto questa esperienza con i programmi URBAN, e sono servite molto.
La possibilità di un programma urbano nazionale per il nostro Paese è concreta e la si sta discutendo. Non deve però tradursi in una modalità per escludere le Città come beneficiari di altre misure contenute nei POR regionali e che hanno sempre le Città come riferimento, che si tratti di sostegno alla ricerca e all’innovazione, di temi collegati alla sostenibilità e alla clean economy o al miglioramento della coesione sociale.
L’introduzione di un’Agenzia per la coesione territoriale avrà un impatto positivo sulla spesa dei fondi in Italia? Qualcuno ha lanciato l’allarme su una possibile eccesiva centralizzazione delle politiche di sviluppo. E’ d’accordo?
Il rischio di una centralizzazione esiste e va certamente evitato. La centralizzazione avrebbe un senso maggiore se si riuscisse ad affiancare, a livello nazionale, alle risorse europee ulteriori risorse nazionali per lo sviluppo delle Città, che possono diventare veri motori dell’economia del Paese. Questa è una prospettiva che andrebbe costruita e che, pur tra mille difficoltà, con il Piano nazionale per città, ha cominciato a farsi luce.
Sul fronte delle entrate i comuni italiani sono alle prese con un quadro finanziario instabile. I fondi strutturali possono rappresentare, in questo quadro, una possibilità per pianificare investimenti e mobilitare partner privati. Qual è la strategia che state seguendo a Torino per garantire un quadro di investimenti stabile al rilancio della città?
In un quadro socioeconomico fiaccato dalla crisi e dalla concorrenza del mercato globale, usufruire di risorse come quelle rappresentate dai piani dell’Unione rappresenta un formidabile volano per gli investimenti. Gli analisti più ottimisti ci segnalano che la ripresa è alle porte. A corroborare questi timidi segnali sarebbero indispensabili aiuti europei per mobilitare i capitali locali. E ridare fiducia e slancio a un territorio che ha pagato un grave tributo alla congiuntura negativa.
(Fonte: Committee of the Regions)
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