Per ricostituire il capitale dell’Amia, ridotta a un colabrodo dall’amministrazione di centro-destra, il consiglio comunale aveva deliberato una iniezione di beni per 97 milioni. L’Amia aveva ricevuto in dote, il 1° gennaio 2010, il 49% dell’Amg, l’azienda comunale di distribuzione del gas, stimato 64 milioni e alcuni immobili di pregio (più l’area contigua alla discarica di Bellolampo) per altri 33 milioni. In quel momento la società, presieduta dall’allora direttore generale del Comune, Gaetano Lo Cicero, era stata posta in liquidazione.
Poi il Tribunale ha accolto la richiesta di amministrazione straordinaria ritenendo che vi fossero le condizioni perché la società potesse tornare in bonis senza essere né smembrata né venduta. L’Amia è finita in mano a tre commissari: l’ex magistrato Sebastiano Sorbello, il commercialista Paolo Lupi e Francesco Foti (il giudice di Forum, il popolare programma di Rete4). Sembrava che le cose dovessero migliorare. Invece tutto è rimasto come prima. La società ha aumentato di 7,5 milioni il contratto di servizio per lo sviluppo di nuove attività, ma continua a chiudere regolarmente in perdita l’esercizio, per circa 20 milioni, ed è gravata da un numero esorbitante di dipendenti, 2.463, tra cui l’esercito degli spazzini, 870 unità, concentrato nella controllata Amia Essemme. Il personale, pur essendo in eccesso, continua ad accumulare ore e ore di straordinario per circa 10 milioni di euro l’anno: uno scandalo. I dipendenti assunti con spinte politiche godono di un’impunità di fatto e fanno quello che vogliono con la copertura di alcune sigle sindacali. Addirittura qualche anno fa, prima dell’amministrazione straordinaria, erano stati assunti i figli di 400 lavoratori in uscita. L’azienda è stata infiltrata da Cosa nostra negli anni in cui sono stati presidente Vincenzo Galioto e direttore generale Orazio Colimberti, condannati per falso in bilancio e false comunicazioni sociali. Gli automezzi aziendali venivano lavati in strutture del clan Lo Piccolo ed è in corso un’inchiesta giudiziaria sugli intrecci tra mafia e Amia.
Proprio ieri la Procura ha chiesto che il Tribunale dichiari fallita la Pea, la partecipata dell’Amia che avrebbe dovuto realizzare con il gruppo Falck il termovalorizzatore di Palermo. Insomma, la crisi è tutt’altro che risolta e ora rischia di far colare a picco i conti dell’azionista Comune.
Il commissario Lupi spiega che quei 55 milioni di patrimonio netto negativo sono solo un effetto contabile. I beni conferiti all’Amia dal Comune sotto forma di aumento di capitale sono stati congelati in bilancio e saranno iscritti a patrimonio solo al termine dell’amministrazione straordinaria, a risanamento economico avvenuto. Ma questa versione non convince gli esperti. Anche perché è stato redatto lo stato passivo e l’ammontare dei crediti da rimborsare ammonta a 110 milioni: un terzo è costituito dal Tfr dei dipendenti, un terzo sono somme dovute ai fornitori e un altro terzo imposte non versate all’amministrazione finanziaria. Dove troverà l’Amia i soldi per il concordato con i creditori se non nel patrimonio conferitole due anni fa dal Comune?
Dice il presidente di Confindustria Palermo, Alessandro Albanese: «Una società che dichiara circa due milioni di perdite al mese ed è schiacciata dal costo del lavoro è fallita. E dove pensano di mettere i commissari l’Amia Essemme, che è parte costitutiva del gruppo Amia. Per non parlare degli 8 milioni di aumento del contratto di servizio richiesti al Comune per pareggiare i conti. Questi soldi non arriveranno mai». L’azionista non ha più un euro per l’Amia e i nodi stanno per venire al pettine mentre è in corso uno scontro tra i partiti e all’interno degli schieramenti per le elezioni del 6 e 7 maggio. Per di più il Comune potrebbe essere costretto a mettere in gara il servizio di raccolta dei rifiuti. È una delle opzioni previste dalla legge di liberalizzazione. In tal caso l’Amia non avrebbe alcuna speranza di sopravvivenza. Di fronte a un’asta europea sarebbe destinata a soccombere e a sparire di scena.
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