L’atto di nomina e di revoca degli assessori costituisce atto politico e quindi non soggetto a controllo da parte del giudice amministrativo?
NO. Al riguardo, la nozione di atto politico viene ricondotta dalla giurisprudenza tradizionale alla concorrenza di due requisiti: l’uno di carattere soggettivo, coincidente col fatto che “si tratti di atto o provvedimento emanato dal Governo, e cioè dall’Autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica” (Cons. Stato, IV, 7 giugno 2022, n. 4636), l’altro di natura oggettiva, espresso dall’essere l’atto “riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione” (Cons. Stato, V, 2 febbraio 2021, n. 963), e dunque libero nei fini (Cons. Stato, VI, 11 giugno 2018, n. 3550; cfr. anche, per la nozione di atto politico incentrata sui detti requisiti soggettivo e oggettivo, inter multis, Cons. Stato, IV, 8 luglio 2013, n. 3609; 18 novembre 2011, n. 6083; V, 23 gennaio 2007, n. 209). In tale contesto, è condivisa e da ritenere corretta la qualificazione dell’atto di revoca (così come di nomina) di un assessore comunale (oltreché di vicesindaco) – pur nel rinnovato quadro delle autonomie territoriali tracciato dal decreto legislativo n. 267/2000 (TUEL) e dalla l. cost. n. 3/2001 – alla stregua di atto di “alta amministrazione” anziché “politico”. Si tratta anzi, a ben vedere, di un atto tipicamente espressivo della categoria degli atti di alta amministrazione, riconducibili proprio “in prevalenza[agli] atti di nomina di organi di vertice di amministrazioni ed enti pubblici”, rispetto a cui ben “sono configurabili posizioni giuridiche soggettive per la tutela delle quali è ammesso il diritto di azione” (Cons. Stato, V, 2 agosto 2017, n. 3871).
Il carattere di atto di alta amministrazione ne comporta la possibilità di tutela da parte dell’assessore che si ritiene illegittimamente revocato davanti al giudice amministrativo?
La natura amministrativa dell’atto di revoca (oltreché di nomina) dell’assessore comunale come affermata dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, quale atto cioè che non è espressione della libertà (politica) attribuita ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze a questo inerenti, né può ritenersi libero nei fini e sottratto alle prescrizioni di legge ed eventualmente degli statuti e dei regolamenti; pertanto, è ben dato ravvisare l’emersione, in relazione allo stesso, di situazioni giuridiche soggettive tutelabili davanti al giudice amministrativo.
L’art. 46, comma 4, del TUEL, prevede peraltro che la motivazione venga espressa nella comunicazione a beneficio del consiglio comunale, ciò comporta che l’atto di revoca in sé (così come di nomina) non vada motivato?
NO. Non può essere anzitutto condiviso l’assunto in base al quale andrebbe motivata, per tali tipologie di atti, la sola comunicazione rivolta al consiglio anziché il provvedimento di revoca in sé. Una volta qualificato l’atto di revoca come atto amministrativo (seppur di alta amministrazione), infatti, lo stesso non può che soggiacere agli oneri motivazionali propri del provvedimento amministrativo, che vanno senz’altro assolti – pur con le peculiarità specifiche degli atti di tale natura – sull’atto in sé; in tale contesto, la comunicazione motivata al consiglio rappresenta un atto ed esprime un profilo distinto, che (pur potendo avere il medesimo contenuto della revoca) inerisce al rapporto interno fra l’organo consiliare e il sindaco, cui l’assessore è di suo estraneo: il che non fa evidentemente venir meno l’obbligo di motivare (anche) l’atto di revoca in sé, nel quadro delle funzioni proprie che lo stesso assolve.
Essendo l’atto di revoca un atto amministrativo è soggetto a regole particolari per quel che riguarda il controllo da parte del giudice?
SI. Riconosciuta infatti la natura amministrativa dell’atto di revoca, lo stesso risulta sì soggetto allo statuto del provvedimento amministrativo e al correlato sindacato giurisdizionale, ma con la limitazione che gli deriva dall’essere appunto un atto di “alta amministrazione”: come affermato al riguardo dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato “Gli atti di alta amministrazione sono una speciesdel più ampio genusdegli atti amministrativi e soggiacciono pertanto al relativo regime giuridico, ivi compreso il sindacato giurisdizionale, sia pure con talune peculiarità connesse alla natura spiccatamente discrezionale degli stessi. Infatti, il controllo del giudice non è della stessa ampiezza di quello esercitato in relazione ad un qualsiasi atto amministrativo, ma si appalesa meno intenso e circoscritto alla rilevazione di manifeste illogicità formali e procedurali. La stessa motivazione assume connotati di semplicità e il sindacato del giudice risulta complessivamente meno intenso ed incisivo” (Cons. Stato, n. 4502 del 2011, cit.; n. 936 del 2021, cit.).
In tale prospettiva, il controllo giurisdizionale può verificare gli aspetti relativi all’arbitrarietà e/o alla irragionevolezza della scelta del sindaco?
SI, il controllo giurisdizionale è ammissibile, ma “entro i ristretti limiti entro cui atti a forte tasso di discrezionalità si prestino ad essere sindacati nell’ambito della generale giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo prevista dall’art. 7, comma 1, cod. proc. amm.” (Cons. Stato, n. 3871 del 2017, cit.). In tale contesto, nel tracciare il portato di siffatto sindacato giurisdizionale spettante al giudice amministrativo, s’è affermato peraltro chiaramente che “per quanto ampia possa presentarsi negli atti in esame la discrezionalità amministrativa, quest’ultima rimane sempre vincolata dal necessario perseguimento delle finalità pubbliche e dal fondamento sostanziale del potere amministrativo consistente nell’impossibilità di utilizzare lo stesso per fini diversi da quelli che ne giustificano l’attribuzione” (Cons. Stato, n. 3871 del 2017, cit.); per questo, è ben sindacabile, rispetto a tali tipologie di atti, il vizio di eccesso di potere “nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o mancanza di motivazione”, essendo il sindacato giurisdizionale precluso rispetto alle (ben diverse) ipotesi di “diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero [di sostituzione de] la volontà dell’organo giudicante […] a quella dell’Amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (dunque, all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o esclusiva o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso” (Cons. Stato, n. 936 del 2021, cit.; cfr. anche Id., V, 17 gennaio 2023, n. 583 in ordine agli obblighi motivazionali).
È possibile rinvenire una responsabilità extracontrattuale dell’Amministrazione in caso di provvedimento di revoca illegittimo?
SI. Considerata la natura dei vizi riscontrati nel caso di specie, espressivi di uno sviamento della funzione nei termini indicati ricavabile dalle stesse circostanze di fatto emerse, è ben dato riscontrare la colpa dell’amministrazione quale chiara negligenza nel proprio operato. Il danno riconosciuto dal giudice di primo grado è stato provocato al ricorrente direttamente e di per sé dall’impugnato provvedimento di revoca: la successiva nomina del nuovo Assessore e del Vicesindaco configura a ben vedere una nuova e distinta vicenda amministrativa che, seppure correlata, non può imporsi al ricorrente d’impugnare pena la perdita del diritto al risarcimento del danno (già ex se integralmente) provocatogli dall’atto illegittimo gravato.
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