“L’Imu deve essere modificata per renderla più equa e per conferirle un effetto redistributivo”, si legge nelRapporto Ue 2012 su “Occupazione e sviluppi sociali”. La nascita dell’Imu, spiega il rapporto, è stata la conseguenza “di raccomandazioni sulla riduzione di un trattamento fiscale favorevole per le abitazioni”, anche in ragione del fatto che le tasse sulla proprietà mostrano “un effetto distorsivo relativamente basso e un basso tasso di evasione”.
Il Rapporto parla apertamente di “possibili miglioramenti” dell’imposta, a dimostrazione del fatto che i suggerimenti sono stati travisati da chi li doveva recepire. Il nodo è quello di renderel’imposizione progressiva e legata al reale valore dell’immobile, ed è chiaro allo stesso Governo che infatti aveva rivolto alla riforma del Catasto uno dei capitoli principali della delega fiscale decaduta in un Parlamento a causa delle pressioni elettorali. La moltiplicazione lineare dei vecchi valori catastali, con i nuovi moltiplicatori che hanno aumentato del 60% la base imponibile rispettoall’Ici, la tassa precedente, hanno infatti concluso con l’aumentare le distorsioni derivate dal fatto che i numeri del Fisco hanno ignoratol’evoluzione del mercato nei decenni.
L’esito finale cambia di conseguenza da città a città, e da quartiere a quartiere, in base alla casualità dell’intreccio fra prezzi di mercato e valori catastali. Un’analisi sulla stessa tipologia di immobile in zone equivalenti di città differenti arriva a svelare paradossi clamorosi, come l’esempio di un negozio a Latina che può arrivare ad avere una base imponibile tripla rispetto allo stesso negozio a Venezia, città che invece primeggia a livello nazionale per i valori fiscali delle abitazioni.
Un trilocale in semicentro a Savona, per il Catasto, può valere il doppio dello stesso immobile a Milano, mentre un appartamento a Verona rivela una base imponibile più che doppia rispetto aReggio Emilia, mentre i due mercati sono sostanzialmente analoghi. Differenze eclatanti, tuttavia, possono convivere nella medesima città, perché una casa nuova in periferia, che naturalmente ha una rendita aggiornata in quanto attribuita al momento della costruzione, secondo il Fisco può valere molto di più di un immobile di lusso in centro, i cui parametri catastali risalgono a decenni fa.
Tutte queste deformazioni ricadono direttamente sul mercato degli affitti, visto che nelle città in cui il mercato è in ribasso ma i valori catastali sono alti le imposte possono assorbire fino al 70-80% dell’entrata, mentre in altri centri i bilanci pubblici “si accontentano” di chiedere il 50 per cento, senza che queste differenze abbiano nessun riscontro sulla reale situazione patrimoniale e reddituale del contribuente.
In questa maniera, si minano anche gli effetti positivi del meccanismo disegnato nel dicembre 2011, che tra l’altro divide significativamente il carico tra abitazione principale e altri immobili, e c’è il pericolo che il suo impatto giunga “ad aumentare leggermente la povertà in Italia”. I valutatori di Bruxelles rilevano comunque qualche altro meccanismo da rivedere: il suggerimento è quello di inserire deduzioni non fondate sul reddito ma sul valore, quindi più in linea con l’impostazione di una tassa sulla proprietà, e di migliorare la definizione di abitazione principale.
Sempre dall’Europa arriva la sonora bocciatura per il traballante sistema carcerario italiano: la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha emanato una dura condanna nei confronti del nostro Paese, parlando apertamente di “trattamento inumano e degradante” in atto nei penitenziari italiani.
Il provvedimento della Corte europea, in realtà, si riferisce a 7 detenuti negli istituti di Busto Arsizio e Piacenza, che si vedranno risarciti i danni morali dallo Stato italiano per un totale di 100mila euro, più 1.500 euro per ognuno dei sette reclusi coinvolti nel procedimento.
A provocare la sentenza di condanna da parte della Corte sovranazionale, l’evidenza riscontrata della violazione sistematica dei diritti dei carcerati nelle celle italiane. In particolare, il tribunale ha stigmatizzato lo spazio inumano in cui i carcerati si trovano a dover vivere, pari a circa 3 metri quadrati: nei casi esaminati, i sette detenuti erano rinchiusi in stanze di 9 metri, ma da condividere con altre due persone, senza acqua calda né, in alcuni casi, illuminazione.
Il problema su cui la Corte ha però voluto puntare l’indice è quello, annoso, del sovraffollamento carcerario, ben al di là dei singoli casi esaminati nella procedura poi chiusa con la condanna: sarebbero oltre 500 i ricorsi già presentati in aggiunta a quello appena accolto.
A questo proposito, oltre a invitare lo Stato italiano all’adempimento degli obblighi di condanna, la Corte suggerisce di trovare una soluzione definitiva alla questione della popolazione carceraria ben al di là della capienza massima.
Un dramma, sottolinea la Corte nella sua sentenza, che è tutt’altro che episodico, ma strutturale e sistematico, così come emerse già nel 2010 con la proclamazione dello stato d’emergenza a opera della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Anche allora, a muovere le acque dovette arrivare una sentenza analoga, con al centro un detenuto di Rebibbia.
Come rimedio, i giudici di Strasburgo suggeriscono nuovamente di puntare sulle pene alternative al carcere, così come era intenzione del Ministro Severino, che ha visto però decadere il disegno di legge proprio alle battute finali della legislatura.
A questo proposito, il Guardasigilli ancora in carica commenta la sentenza con parole amare: “C’era da aspettarselo. Sono profondamente avvilita ma purtroppo l’odierna condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo non mi stupisce”.
Difendendo il lavoro svolto nell’ultimo anno, soprattutto con il cosiddetto decreto Salva carceri, il ministro Severino invita a “lavorare sul piano edilizia carceraria, servono altre misure strutturali”.
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