La manovra reintroduce l’esonero, per le società del gruppo Equitalia, dall’aumento del capitale sociale per l’iscrizione all’apposito albo ministeriale. Si riapre così il contrasto con l’ordinamento comunitario, rilevato dal Tar Torino sull’analoga disposizione del 2009, abrogata dal Dl 40/2010 e riproposta dal Dl 78/2010 con il maxiemendamento approvato dal Senato. Tutto parte con l’articolo 53 del Dlgs 446/97, che ha istituito l’albo dei soggetti abilitati a effettuare l’accertamento e la riscossione delle entrate locali. Il Dm 289/2000 suddivideva l’albo in due categorie: nella prima le società aventi capitale di almeno un miliardo di lire, per le attività nei comuni fino a 10mila abitanti; nella seconda le società aventi capitale di almeno 3 miliardi di lire, per le attività in tutti gli altri comuni e province, a prescindere dalla dimensione demografica. Con il Dm 13 luglio 2004 le misure minime di capitale sociale venivano elevate a 775mila euro per le società iscritte nella categoria inferiore e a 2.583.000 euro per le società della categoria superiore, importi poi confermati dal Dm 20 dicembre 2007. Tuttavia, a poco più di un anno l’importo del capitale sociale veniva elevato a 10 milioni di euro, unificando le due categorie (articolo 32, comma 7-bis, della legge 2/2009). Tutto avveniva nonostante la segnalazione contraria dell’Antitrust e le proteste delle associazioni di categoria più rappresentative (Anacap, Asco tributi locali, Anateel). In sostanza si impediva ai soggetti con meno di 10 milioni di capitale sociale di partecipare alle gare o di ricevere nuovi affidamenti, esonerando tuttavia le società a prevalente partecipazione pubblica. Nel frattempo diversi concessionari sono stati costretti ad adeguarsi (a differenza delle società di Equitalia), ma la disposizione è stata censurata dai giudici amministrativi, che l’hanno ritenuta contrastante con l’ordinamento comunitario nella parte in cui esclude i soggetti pubblici dall’obbligo di elevare il capitale sociale (Tar Piemonte, sentenza 2260/2009). È stata poi rimessa alla Corte Ue la questione di legittimità comunitaria dell’intera disposizione contenuta nella legge 2/2009, per presunta violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità (Tar Milano, sentenza 210/2010). Il legislatore, in sede di conversione del Dl 40/2010, ha abrogato la disposizione censurata e ha introdotto tre classi operative caratterizzate da diverse soglie di capitale sociale minimo (uno, cinque e 10 milioni), proporzionate alla popolazione degli enti, in modo da consentire anche a operatori di minori dimensioni di poter svolgere l’accertamento e la riscossione per i piccoli enti locali (articolo 3-bis della legge 73/10). L’articolo 3-bis del Dl 40/2010 prevedeva inoltre l’obbligo per i soggetti iscritti all’albo (comprese le società del gruppo Equitalia) di adeguare il proprio capitale sociale entro il 30 giugno 2010 ( in difetto non sarebbe possibile ricevere nuovi affidamenti o partecipare alle gare). Ma l’articolo 38, comma 13-sexies, del Dl 78/2010, nella versione approvata dal Senato, riapre la questione esonerando le società di Equitalia dall’obbligo di adeguare il capitale sociale. Facile ora prevedere l’insorgere di un contenzioso in sede di gara, dal momento che la norma introduce un’indebita discriminazione in conflitto con il principio comunitario che impone l’adozione di regole finalizzate a non trattare in modo diverso situazioni analoghe (Tar Piemonte, sentenza 2260/09).
Equitalia non adegua il capitale
Riscossione. La manovra reintroduce una distinzione già giudicata in contrasto con l’ordinamento comunitario
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