Intervista al ministro dell’Ambiente, soddisfatto per il risultato nel Consiglio dei Ministri Ue in cui la Germania aveva rimesso in discussione l’intesa sul taglio delle emissioni entro il 2020: “Auto e Co2, gli obiettivi non cambiano”. “Non azzardo previsioni, ma la vicenda ora è emersa nell’opinione pubblica europea. Credo che la nostra posizione abbia aiutato in questo senso”
“Abbiamo fermato la melina della Germania”: è questo il senso, e la soddisfazione, del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando a pochi giorni dal Consiglio dei ministri Ue in cui l’Italia – assieme a Svezia, Danimarca e Bulgaria – ha arginato le manovre della Germania sulle emissioni di Co2 delle automobili. E lo ha fatto senza ‘battere i pugni sul tavolo’, come spesso si dice serva per farsi ascoltare.
Tutto ruota intorno alla riduzione delle emissioni inquinanti delle auto. A giugno, Parlamento, Commissione e Consiglio europei avevano trovato un’intesa, fissando l’obiettivo per il 2020: tagliare la soglia massima di biossido di carbonio fino a 95 grammi per chilometro.
Nel giro di quattro mesi, quell’intesa di altissimo livello istituzionale è tornata in discussione. E’ stata la presidenza lituana a mettere in dubbio che vi fosse un reale consenso tra gli Stati membri, ma tutti indicano come ‘mandante’ la Germania. Per i tedeschi, più delle istanze ambientaliste conta la competitività delle loro potenti automobili, penalizzate dal principio che chi più inquina, più deve pagare. Il concetto, certo non in questi termini, è emerso comunque con chiarezza lunedì scorso, durante il Consiglio dei ministri europei dell’Ambiente, sul cui tavolo è tornata l’intesa di giugno.
Durante il suo intervento il ministro italiano Andrea Orlando ha evidenziato non solo la contraddizione tra il passo indietro e le “ambizioni” ecologiste europee, ma ha sottolineato anche la pericolosa forzatura delle procedure negli accordi internazionali inter-istituzionali. Alla fine, la presidenza lituana ha ottenuto un mandato per il raggiungimento di un nuovo compromesso da sottoporre al Parlamento di Strasburgo.
Ministro, quali possono essere i rischi di una simile forzatura delle procedure UE? “Indiscutibilmente il rischio è che diventi prassi. L’intesa era stata raggiunta dalla presidenza irlandese col Parlamento Ue. Il rischio è che ogni volta che c’è un nuovo mandato si possa riaprire la discussione. Questo renderebbe molto più complicata l’attività nell’Unione Europea. In Consiglio, nello specifico, la mattina c’era stata una lunghissima discussione sul documento da presentare alla Conferenza di Varsavia sulle emissioni complessive di Co2. I paesi più virtuosi, come la Germania, avevano svolto un ruolo di stimolo verso i paesi che hanno più cautela. Al pomeriggio, quando il discorso è andato sulle emissione delle auto, c’è stata invece quella plastica saldatura di posizioni. Fa parte del gioco, ma solo quando si resta all’interno del normale percorso della negoziazione”.
Nella sostanza, la vicenda evidenzia ancora una volta come esista un primus inter pares tra i paesi membri Ue: la Germania, che piega gli altri al volere della sua industria. Come spiegarlo all’opinione pubblica italiana, e all’industria italiana? “La Germania ha un peso che non devo spiegare io e non deriva da vicende occulte. Ha la capacità contrattuale di un paese che non è in crisi in un continente in crisi. Ma voglio spezzare una lancia a favore del meccanismo istituzionale, perché il fatto che noi abbiamo posto la questione in Consiglio ha fatto emergere la melina. Ha costretto la presidenza lituana ad assumere un’iniziativa per una situazione che rischiava di venire insabbiata. La questione, invece, dovrà essere chiusa ‘in settimane piuttosto che in mesi’, per usare proprio le parole del ministro tedesco. E poi, tutti si sono espressi per il raggiungimento di un accordo in prima lettura, il che vuol dire non discostarsi eccessivamente dalla piattaforma definita a giugno. Infine, ed è una soddisfazione morale, la Commissione ha sposato la nostra posizione”.
Come giudica l’ambigua posizione francese, che storicamente ambisce a essere il contrappeso dei tedeschi? Interessi industriali che collimano? “Non quelli legati alla produzione automobilistica, perché l’industria francese ha investito molto su una produzione eco-compatibile. E’ probabile che siano intervenute altre valutazioni, non i”direttamente connesse con l’ambiente. Senza lasciarsi andare ad illazioni, ci sarà stata una trattativa più a 360 gradi”.
La presidenza lituana ha margini stretti di trattativa: si aspetta nuove forzature? “Non azzardo previsioni, ma la vicenda ora è emersa nell’opinione pubblica europea, in Germania ci sono forze politiche che hanno aperto campagne, le associazioni ambientaliste internazionali hanno acceso i riflettori. Credo che la nostra posizione abbia aiutato in questo senso. Detto questo, il mandato al presidente lituano ha margini molto stretti perché è legato a due vincoli: uno è quello temporale, l’altro è di realizzare l’accordo in prima lettura. Inoltre, ci è stato riconosciuto che ci si era mossi in un quadro discutibile della conduzione istituzionale e il presidente lituano si è assunto l’impegno di tenere costantemente aggiornati gli Stati membri sulla trattativa con il Parlamento Ue. La partita è ancora aperta, ma ora si gioca in un campo definito. Prima era extra-istituzionale, dove i rapporti bilaterali sostituiscono le sedi istituzionali. Prassi che la stessa Germania ha sempre contestato”
Proviamo a ragionare in negativo: prevalgono gli interessi industriali, passa una regolamentazione dall’alto lesiva delle posizioni di alcuni Stati, come l’Italia. E’ possibile immaginare una risposta, ad esempio l’introduzione di un superbollo per le grandi cilindrate? “Non si arriverà a un simile scenario. Per la semplice ragione che sulle quantità di emissioni non ci sono più margini di discussione. La trattativa si svilupperà sulle modalità e i tempi di attuazione. Bisognerà vigilare su tentativi di dilazionare in diversi step le misure previste. E io penso che la Germania sia la più consapevole di tutti del fatto che non si possa andare a un consesso globale come quello di Varsavia con una contraddizione così palese tra enunciazioni di principio sulle emissioni e misure concrete sulle auto”.
Dalla sua prospettiva europea, da ministro dell’Ambiente, percepisce l’azione delle lobby? “E’ evidente che ci sono interessi, che si manifestano in modo assolutamente legittimo. Nelle scelte del mio dicastero, non abbiamo subito alcun tipo di pressione. In generale, esistono pressioni, ma esiste anche un’autonomia che la politica può mettere in campo. Nella situazione italiana gioca anche un altro fattore, per essere onesti intellettualmente: i nuovi limiti costituiscono una sfida per tutti i gruppi automobilistici, ma chi produce auto di cilindrata più bassa, è avvantaggiato nel raggiungimento degli obiettivi. Quindi la nostra industria sarà meno penalizzata e potrà avere un vantaggio competitivo. Anche per questo non ho ricevuto pressioni”.
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