Al fondo di questa storia c’è molta riconoscenza del sottoscritto verso quella santa istituzione che è il giudice di pace. Ma prima di arrivare al “grazie”, quasi commosso, da cittadino anonimo, per aver avuto giustizia (solo “una parte” di giustizia, come si vedrà?) c’è tutta una storia da raccontare. Una storia che descrive da sola, meglio di cento editoriali, l’insanabilità della malagiustizia nazionale e l’avanzata decomposizione della cultura amministrativa, giuridica e civile del paese_ Stiamo drammatizzando? Nient’affatto! E vediamo perché. Dunque nel giugno 2010 il Comune di Milano cambia il perimetro di applicazione dell’Ecopass, estendendo il divieto d’accesso anche ad alcune categorie di veicoli abbastanza avanzati dal punto di vista ecologico ma non ottimali, come – in particolare – le automobili diesel Euro 4 senza filtro antiparticolato (Fap). Proprio come la mia Panda. La ragione tecnica del provvedimento è semplice quanto astratta: le polveri sottili in sospensione nell’aria milanese erano rimaste alte anche dopo la fine della stagione dei riscaldamenti, e insieme ai pollini primaverili avevano scatenato una recrudescenza di allergie. Il Comune decide di stringere i freni dell’Ecopass: il guaio è che la comunicazione ai cittadini delle nuove norme più restrittive avviene con modalità e tempistiche tali per cui solo i più prudenti e avveduti se ne accorgono in tempo. Si sa che la legge non ammette ignoranza, ma una direttiva che modifica un regolamento in vigore da mesi un po’ di ignoranza dovrebbe pur perdonarla. Invece niente: ma tant’è. Migliaia di proprietari di veicoli diesel euro 4 senza FAP, tra cui chi scrive, hanno continuato serenamente a entrare in centro senza pagare l’Ecopass (per non dire che il sottoscritto neanche era al corrente del fatto che la sua Panda fosse sprovvista del mitico FAP..). Fatto sta che a settembre arrivano, nel giro di due giorni, ben cinque verbali di accertamento d’infrazione, da 85 euro ciascuno, relativi a cinque giorni consecutivi del mese di giugno. Ricostruisco il problema, un breve giro su Internet mi basta per capire di essere caduto anch’io, con migliaia di altri automobilisti, in un trappolone senza senso del tutto estraneo alla logica del codice della strada e decido di fare ricorso, per la prima volta in vita mia, al giudice di pace. Primo problema: costa 43 euro e soprattutto richiede un impegno e un’attenzione tali da assorbire almeno quattro ore di lavoro anche a una persona mediamente abituata a maneggiare scartoffie. Comunque ne vengo a capo, consegno, e ricevo la convocazione per l’udienza: nove mesi dopo le multe, cinque mesi dopo il ricorso. Arriva il gran giorno, e la parziale soddisfazione: l’esito è positivo per il ricorrente, ma solo in parte, perchè tre multe su cinque abbuonate, ma due vanno pagate. Perché? Per una logica di mero buon senso, anzi ? è il caso di dire ? in uno spirito di pace: tenendo colpa e ragione a metà tra le parti, si prevengono ricorsi. Rispetto ai 425 euro che avrei dovuto pagare ne pagherò 140 più 10 di diritti più i 43 di marca da bollo sul ricorso, totale 193, pari al 45% del totale delle multe comminate. Benissimo. Benissimo un corno, in realtà. Perché tutto questo impone alcune tristi conclusioni: 1) Che il Comune ha torto marcio, perché sa spendere milioni in allestimenti elettronici di dubbia utilità ma non sa gestire i regolamenti e la comunicazione con un minimo di buon senso; 2) Che il cittadino ha ragione ma non può averla al 100% se vuole portare a casa un risultato utile senza finire invischiato in contenziosi lunghi, incerti e costosi; 3) Che la giustizia civile, anche la più giusta, finisce troppo spesso in Italia a transazione anziché a sentenza, perché mettersi d’accordo è più facile che discriminare i diritti dai torti; 4) Che anche una bagatella, istruita e decisa in via informale e brevissima, si risolve comunque in nove mesi dall’evento: in tempi di polemiche su processi brevi e prescrizioni brevissime, c’è di che rabbrividire.
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