ROMA – All’annuncio dell’Agenzia del demanio, qualche giorno fa, che ben 12 mila beni immobili potenzialmente trasferibili dallo Stato ai comuni erano stati messi sul sito, sindaci e assessori hanno cominciato a frugare tra gli elenchi on line per vedere che cosa poteva loro interessare. Il decreto legislativo sul federalismo demaniale prevede infatti che la stessa Agenzia, entro il 22 dicembre, stili l’elenco definitivo dei beni cedibili (ora è provvisorio), dopo di che i comuni avranno 60 giorni per chiedere quelli di loro interesse (caserme, terreni, eccetera) e infine acquisire gli stessi «a titolo non oneroso», cioè gratis. O meglio: il comune si prende il bene e se questo frutta qualcosa (poniamo un canone di affitto di 10 mila euro l’anno) subirà un taglio corrispondente nei trasferimenti finanziari da parte dello Stato. Il comune però potrebbe – anzi dovrebbe – «valorizzare » l’immobile acquisito in modo da ricavarne di più. Il fatto è che, scorrendo gli elenchi on line, più di un sindaco ha storto il naso, perché molti beni immobiliari non sarebbero valorizzabili ed anzi potrebbero trasformarsi in una spesa in più per il comune. A questa inquietudine ha dato voce ieri il presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni, Sergio Chiamparino: «Ci sono alcuni beni che son più un problema che un’opportunità, più una rogna che un’occasione di investimento». L’assessore al Demanio di Milano, Gianni Verga, si è già lamentato, in un’intervista al Giorno, di una serie di potenziali «bidoni»: dal complesso dell’Università di Festa del Perdono al Politecnico di piazza Leonardo da Vinci, dagli edifici di via Celoria al Conservatorio di via Verdi, «perché non possiamo certo sfrattare le Università e le scuole di arti e mestieri». E quindi «se l’elenco non cambia, direi che non siamo proprio interessati a entrare in possesso di questi beni». Anche l’assessore al Bilancio di Torino, Gianguido Passoni, è piuttosto scettico: «A una prima occhiata direi che ci potrebbero interessare in tutto 4-5 edifici o poco più. Che ce ne facciamo di magazzini o aree di stoccaggio non valorizzabili o di un edificio del ventennio in Corso Peschiera o della ex Polveriera sulla sponda dello Stura?». Ma c’è anche chi dice «no, grazie» per via degli alti costi che bisognerebbe affrontare dopo il trasferimento. Spiega per esempio il sindaco di Piacenza, Roberto Reggi: «Il vecchio carcere di via Benedettine, che è stato ristrutturato dal demanio, per noi sarebbe inutilizzabile sia perché risulta inaccessibile ai disabili sia per gli enormi costi di manutenzione e gestione che dovremmo affrontare». Insomma, non sarà una passeggiata. L’Anci assicura però la massima collaborazione da un lato con l’Agenzia del demanio e dall’altro con i comuni, soprattutto quelli piccoli, per i quali è stato predisposto un fondo immobiliare che consenta agli stessi, i quali avrebbero difficoltà a valorizzare da soli pochi beni, di far fruttare il patrimonio acquisito. Trasferendolo invece al fondo riceverebbero quote dello stesso da collocare presso investitori istituzionali, facendo così cassa.
E i Comuni non vogliono i beni del demanio: per molti solo spese
Federalismo – Il presidente dell’Anci Chiamparino: più problemi che opportunità. Il sindaco di Piacenza: che ce ne facciamo del carcere?
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