La Corte di giustizia europea “rilegge” i criteri per la localizzazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili, così come stabiliti dalle linee guida nazionali (Dm Sviluppo del 10 settembre 2010). L’inidoneità prevista dalle linee guida non comporta l’impossibilità di installare in una data area gli impianti, perché l’autorizzazione unica – sulla base di un’approfondita istruttoria e di debita motivazione – può superare la preclusione identificata in fase di programmazione generale. Anzi, secondo le linee guida, un atto di programmazione che imponga l’inedificabilità assoluta di un sito sarebbe illegittimo, perché un atto generale non potrebbe imporre un «divieto preliminare». Di diverso avviso è però l’avvocatura generale presso la Corte di giustizia dell’Unione europea di Lussemburgo, nella Causa C 2/10 (Azienda Agro-Zootecnica Franchini Sarl e Eolica di Altamura Srl contro la Regione Puglia), che riguarda il caso in cui le aree interessate dai nuovi impianti ricadano nelle zone protette della cosiddetta Rete Natura 2000 (siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale). In tali situazioni, secondo l’avvocato generale, è compito degli Stati membri adottare le misure idonee a evitare che, nelle zone speciali di conservazione, si produca il degrado dell’habitat naturale e di specie, nonché la perturbazione delle specie tutelate. In tale contesto qualsiasi progetto «non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito, che possa avere incidenza significativa» sullo stesso, deve passare attraverso una specifica valutazione di incidenza, che dia la certezza, previa consultazione pubblica, che il progetto non pregiudichi l’integrità dell’area tutelata. Sarebbero quindi legittimi quegli atti di pianificazione generale (tra cui le linee guida della Puglia) che, nel rispetto del principio di proporzionalità, impongano misure generalizzate di inedificabilità nei siti della Rete Natura 2000. La legittimità di tali atti di pianificazione persisterebbe ancorché gli stessi non siano stati notificati alla Commissione Ue, sempre che «le misure di divieto non vadano oltre quanto necessario per realizzare lo scopo perseguito», la cui valutazione è rimessa ai giudici nazionali.
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