Un segretario comunale contestava i criteri adottati dall’amministrazione per la liquidazione dei diritti di rogito, assumendo che la quantificazione di tali spettanze non poteva essere limitata a un terzo dello stipendio effettivamente percepito, dovendosi fare riferimento alla retribuzione annua e non a quella mensile. La soluzione della controversia è legata all’esatta accezione di significato della locuzione “stipendio in godimento”, contenuta nell’art. 41, comma 3, della legge 11.7.1980, n. 312 (oggi non più in vigore, dopo che l’art. 17, comma 74, della legge n. 127 del 1997 ha rimesso la materia alla contrattazione collettiva), cui è ragguagliato il limite massimo della quota spettante al segretario rogante.
La pronuncia del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5183 del 2015, accoglie l’appello del comune, riformando la sentenza di primo grado (TAR Piemonte, sez. I, n. 4093/2005), secondo la quale doveva essere accolta l’opzione ermeneutica più favorevole al creditore, interpretando la locuzione “stipendio in godimento” quale retribuzione annua teoricamente spettante al dipendente e facendo riferimento, quindi, allo stipendio tabellare annuo. Il Consiglio di Stato non condivide tale opzione ermeneutica ed afferma invero che nella determinazione del quantum spettante per l’attività di ufficiale rogante, non può prescindersi dal periodo di effettivo servizio svolto dal soggetto interessato alla percezione del compenso in parola (come peraltro chiarito anche dallo stesso Consiglio di Stato; cfr. sez. IV, 9.11.1989, n. 773).
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