In tempi di crisi non è il momento di fare regali. E così a farne le spese è il federalismo demaniale, quello per intenderci che avrebbe dovuto trasferire il lago di Garda ai gardesani e la proprietà di caserme, fari, spiagge, case cantoniere, università, persino porzioni di Dolomiti ai comuni.
Il demanio agli enti locali doveva essere il primo dono del federalismo fiscale agli enti locali e per questo fu annunciato in pompa magna da Roberto Calderoli.
Ma da quel lontano 20 maggio 2010, data di approvazione del decreto (dlgs n.85) poco o nulla si è mosso. Mentre la crisi sembra aver imposto al governo un ripensamento.
Giulio Tremonti non ha fatto mistero di puntare molto sulla dismissione dell’enorme patrimonio immobiliare dello stato (che, secondo il ministro, vale 1800 miliardi, tanto quanto il debito pubblico) per fare cassa. E, tanto per cominciare, nella lettera all’Ue di qualche giorno fa, l’esecutivo si è impegnato a predisporre un piano triennale di dismissioni del valore di 15 miliardi di euro.
Tutti segnali che, uniti ai ritardi accumulatisi in questi mesi nel trasferimento dei beni ai comuni, fanno sentire ai sindaci puzza di fregatura.
L’allarme è stato lanciato qualche giorno fa dall’Anci in audizione davanti alla Commissione bicamerale per il federalismo fiscale.
L’associazione guidata da Graziano Delrio ha espresso preoccupazione non solo per i ritardi ma soprattutto per la «complessa interlocuzione con le amministrazioni centrali competenti», ossia con l’Agenzia del Demanio sulla cui poltrona nel ruolo di direttore si è appena insediato Stefano Scalera.
Per gestire la complessa macchina organizzativa del federalismo demaniale (in ballo ci sono circa 19 mila immobili equamente suddivisi tra fabbricati e terreni) l’Agenzia aveva il compito di predisporre due elenchi. Uno con i beni non trasferibili agli enti locali in quanto utilizzati dallo stato per finalità istitituzionali. E l’altro con i beni che potranno passare dal centro in periferia. Ma su entrambi pendono forti incertezze.
Il primo elenco, licenziato ad aprile, è stato contestato da molti sindaci che hanno espresso forti dubbi sulla presenza di alcuni cespiti che, a loro dire, non avrebbero dovuto essere esclusi dal trasferimento. Con le anomalie riscontrate dai comuni l’Anci ci ha riempito un dossier: caserme dismesse e che invece risultano attualmente in uso, immobili sedi di avvocatura dello stato e invece totalmente inutilizzati. Finanche boschi abbandonati sono entrati nella blacklist del Demanio.
Il secondo elenco è ancora sul tavolo della Conferenza unificata che non ha ancora raggiunto un’intesa sul punto. L’Anci lamenta «la mancata individuazione degli enti destinatari dei beni, nonché di tutte le informazioni che ai sensi di legge l’Agenzia del demanio dovrebbe fornire».
Non è infatti ancora chiaro a chi spetti la titolarità dei beni. I sindaci chiedono una corsia preferenziale «per evitare che sullo stesso bene arrivino più richieste di amministrazioni diverse», ciascuna col proprio progetto di valorizzazione.
Ma nulla si sta muovendo. Ecco perché l’Anci parla apertamente di «federalismo dimenticato» e vuole vederci chiaro. Per questo ha chiesto alla commissione presieduta da Enrico La Loggia (in composizione integrata con i rappresentanti di comuni, province e regioni, il cosiddetto comitato dei 12) di dedicare all’attuazione del federalismo demaniale una seduta ad hoc «in tempi brevi», in modo da acquisire tutte le informazioni necessarie per relazionare sul punto alle camere.
Demanio, federalismo dimenticato
Ritardi ed errori nelle liste dei beni frenano il trasferimento
Italia Oggi
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