Il d.d.l. di riforma degli enti locali surriscalda il clima tra Province e Governo. Il Ministro per gli affari regionali Graziano Delrio è tornato ad annunciare la chiusura delle province “entro l’anno” (il d.d.l. è in Commissione affari costituzionali e arriverà in Aula entro la prima metà di novembre), prevedendo un contestuale “trasferimento ai comuni” dei loro poteri, facendole diventare così “agenzie funzionali”.
Ma Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino a capo dell’Unione delle Province italiane, ha risposto ribadendo che “il disegno di legge per l’abolizione delle Province è molto provinciale e poco europeo. E farà lievitare i costi per le casse pubbliche”, che “andranno tutti sprecati in nuova burocrazia”, invece di essere destinati ai servizi. “La gestione degli edifici scolastici, ad esempio, passerà da 107 province a 1.300 piccoli comuni. Che non potranno mettere in atto le stesse economie di scala. Gli appalti costeranno di più: 645 milioni solo per la scuola. Oggi le province svolgono servizi (trasporti, formazione, centri per l’impiego) che costerebbero 1,4 miliardi in più se affidati alle Regioni. Con il piano Delrio lo Stato pagherebbe 2 miliardi di maggiori costi, a fronte di risparmi, il costo dei politici, di 32 milioni”.
La proposta di Saitta è di tornare al decreto del Governo Monti (poi bocciato dalla Consulta): l’accorpamento delle province, da 86 a 51, per un risparmio di 500 milioni. Cifra che, per Saitta, sarebbe potuta lievitare a 5 miliardi. “Perché sarebbero stati accorpati anche gli uffici periferici dello Stato che su base provinciale sono organizzati: meno provveditorati, prefetture e questure, motorizzazioni. Si sarebbero poi riorganizzati gli enti intermedi, società pubbliche o partecipate, consorzi di bonifica e Ato (l’ambito territoriale per i servizi pubblici). Oltre 7.800 società strumentali con i bilanci in rosso che costano 19 miliardi solo di personale. È qui il poltronificio”.
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