I maggiori dubbi suscitati dal processo di liberalizzazione dei servizi, ad oggi, riguardano l’assenza di un numero adeguato di imprenditori competenti e che siano in condizione di investire quanto indispensabile in settori impegnativi sul piano degli investimenti.
In fondo fu il medesimo problema con cui si misurò la Thatcher, che prese atto dell’impossibilità di liberalizzare il settore del trasporto pubblico locale ed optò per la deregulation: in pratica, non riuscendo a trovare privati in grado di gestire il servizio, aprì le porte a chi volesse svolgerne anche solo piccole porzioni.
La scelta del regolamento va nella stessa direzione, mettendo perciò in discussione l’idea che i servizi vadano gestiti unitariamente. Se il disegno sarà confermato verrà meno, in sostanza, l’idea che per una «gestione integrata» sia indispensabile un gestore unico, la cui necessità non è più assunta come dato ma deve essere dimostrata attraverso una verifica di mercato.
Così facendo, però, si rimette in discussione il processo oggi in corso, che mira a una crescita dimensionale delle aziende, attraverso una riduzione del numero degli ambiti e incoraggiando le fusioni. Si rischia di interrompere un lavoro già in corso e che sta cominciando a produrre i suoi frutti.
Si noti, ancora, che a differenza di quanto previsto dai commi 1 e 2 dell’articolo 4, il regolamento (articolo 1, comma 2) estende l’obbligo di formulare la delibera quadro a tutti gli enti territoriali, cioè anche alle autorità amministrative che esercitano funzioni nei servizi pubblici locali. Scelta ribadita, del resto, con specifico riferimento al trasporto pubblico (articolo 3 del regolamento) e dei rifiuti (articolo 4).
Tutto ciò, peraltro, non è privo di rischi e di problemi. Non è chiaro, anzitutto, come si possa conciliare una scelta di «frazionamento del servizio» con il processo di ampliamento degli ambiti auspicato dalla legge: sarà la Regione, ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1, del Dl 138/2011, infatti, a definire gli ambiti con l’intento di conseguire «economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio»; se è così, ha senso che a decidere sull’eventuale suddivisione del servizio stesso in più fasi e sulle diverse condizioni di concorrenzialità di ciascuna di queste sia un soggetto diverso?
Infine, una perplessità di fondo: fino a oggi i nostri enti non hanno certo brillato in tema di capacità di regolazione. Oggi si prospetta di affidare loro un lavoro ancora più complesso, e cioè di confrontarsi con soggetti specializzati. Siamo sicuri che le nostre autorità d’ambito saranno in grado di governare con efficacia i rapporti con un numero probabilmente elevato di operatori, quando hanno dimostrato di non riuscire a controllarne uno solo? Il rischio è di rendere ancora più difficoltoso il compito di chi deve “dettare le regole”, con risultati prevedibili.
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