Partiamo da un elemento: avere un consistente squilibrio strutturale tra entrate e spese correnti significa vivere al di sopra dei propri mezzi. Dove questo accade c’è poco da accampare scuse. Si acquista forse un facile consenso, ma certo non si amministra correttamente il bene pubblico e si crea un danno alla comunità. Leggendo i dati proposti qui a fianco, appare chiaro che molti enti locali vivono ormai in un equilibrio precario, e si affidano per fare fronte alle spese correnti ad una quota consistente di entrate di natura straordinaria. E l’elemento nuovo è che il problema non riguarda la sola Napoli o il sud, ma anche Parma, La Spezia e altre città, anche grandi, del Nord. Allo squilibrio tra spesa corrente ed entrate ordinarie (che dovrebbero avere, grosso modo, la prima la caratteristica di una relativa rigidità e le seconde quelle di una ragionevole stabilità) si rimedia con entrate “straordinarie” (cioè una tantum). Ma quali sono? La risposta non rassicura: si lascia costruire il costruibile (per incassare oneri di urbanizzazione che poi si spendono non per fare strade ma per gli stipendi) o si vende per necessità un patrimonio a volte accumulato nei secoli. Il quadro però è ancora peggiore, e si annida anche nelle entrate ordinarie. È noto, il fatto che molti comuni si affidano in misura consistente alle sanzioni del codice della strada per far quadrare i conti. Saranno pure entrate «stabili», ma quando vengono fatte per necessità di bilancio e non di viabilità diventano una tassa iniqua. Proprio le multe sono per altro l’esempio più calzante di un grave problema. Nei bilanci degli enti locali entrate e spese non hanno la stessa velocità e la medesima probabilità di diventare cassa. Le spese correnti devono essere pagate con celerità e sono certe, mentre non accade lo stesso per le entrate; e le sanzioni amministrative si rivelano di difficile esazione, spesso per percentuali impressionanti. Parlare degli «equilibri» di competenza finanziaria e non di quelli di cassa sottovaluta moltissimo la gravità dei problemi: i conti “ufficiali” sono quindi allarmanti ma ottimistici, perché i bilanci degli enti locali sono figli di regole ormai inadeguate. Occorre cambiare, e mettersi nell’ordine di idee che ridurre la spesa è una necessità. Certo, intervenendo anche sul piano normativo, per costringere gli enti locali a tenere dei comportamenti più rispettosi dei cittadini di domani, a cui altrimenti si rischia di lasciare un conto molto salato da pagare. Dove occorre agire è chiaro a tutti: consolidamento dei conti di enti e loro partecipate, revisione delle regole di contabilità finanziaria con introduzione di una competenza di cassa per le voci «a rischio», divieto di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la parte corrente e individuazione di procedure ad hoc per gli enti strutturalmente deficitari. Gli ormai prossimi decreti di attuazione della legge sul federalismo e quelli sulla legge di contabilità pubblica rappresentano un’ottima occasione per introdurre, con gradualità, degli interventi strutturali che vadano in questa direzione. Ma serve coraggio e serietà, nella consapevolezza che occorre raddrizzare il sistema e che non si può andare verso il federalismo senza affrontare questi nodi.
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