La giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale può coinvolgere anche i privati che mal utilizzino le risorse pubbliche. Con questo principio la Cassazione (sentenza a Sezioni Unite del 19 luglio 2013, n. 17660) condanna un amministratore di società che aveva ricevuto un contributo a fondo perduto a fronte del quale non ha realizzato l’opera promessa. Così la Cassazione formalizza i presupposti necessari per il riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale. Nel merito, la Cassazione conferma che rientra nella giurisdizione dei magistrati contabili ogni soggetto che gestisce denaro pubblico, anche privato, in ragione del danno e degli scopi perseguiti con l’assegnazione di risorse finanziarie (Cassazione sezioni unite n. 1774/2013).
Nella sentenza si ribadisce anche (così come Cassazione sezioni unite n. 295/2013) che la responsabilità non è solo della persona giuridica coinvolta ma anche degli amministratori della stessa perché la responsabilità erariale (e quindi la giurisdizione contabile) si fonda sulla natura delle risorse (pubbliche) e ne risponde chi le gestisce. Questa sentenza conferma quindi un consolidato orientamento della Cassazione, qui ribadito a Sezioni unite.
Le società controllate
In materia di responsabilità contabile è utile menzionare, per il mondo degli enti locali e delle società partecipate, anche il tema delle competenze e delle rispettive responsabilità degli amministratori dei Comuni e dei consiglieri di amministrazione delle aziende controllate. Infatti, le decisioni della Cassazione in materia di giurisdizione della Corte dei conti sono di grande rilievo pratico per gli amministratori di Comuni e Province così come, ai sensi delle sentenze ora ricordate, per i soggetti che operano con le pubbliche amministrazioni, siano essi pubblici o privati.
Si ricorda, in proposito, la altrettanto consolidata giurisprudenza che, a partire dalla sentenza di Cassazione a sezioni unite del 19 dicembre 2009, n. 26906 (e confermata da molte sentenze successive, tra cui da ultimo Cassazione sezioni unite n. 10299/2013) attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sull’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto della condotta degli amministratori o dei dipendenti, quando questa danneggi il patrimonio della società e non direttamente il bilancio pubblico. In sostanza per la Corte ha rilievo la personalità giuridica, di natura privata, delle società di capitali, che non trova nella normativa, secondo la Cassazione, sufficienti elementi che possano portare all’individuazione di una forma speciale di società “pubblica”, distinta da quella regolamentata dal Codice civile. Non basta la proprietà della società, e le norme dedicate alle aziende pubbliche, a qualificarne la “peculiarità” giuridica.
Pertanto, in linea di principio, la giurisdizione della Corte dei conti non si esercita sugli organi societari che abbiano appunto recato un danno al patrimonio della società ma non a quello dell’ente controllante. In tal caso devono semmai ritenersi responsabili di danno erariale gli amministratori dell’ente pubblico che abbiano omesso di esercitare correttamente i diritti e doveri di socio, determinando così una perdita di valore della partecipazione. In sostanza, sono gli amministratori del Comune che rischiano di dover rispondere alla Corte dei conti di danno erariale e non i consiglieri di amministrazione della società, verso i quali l’ente pubblico ha il dovere di attivarsi secondo le azioni proprie previste dal Codice, prima tra tutte l’azione sociale di responsabilità ex articolo 2393 del Codice civile.
Va ricordato, per inciso, che la natura delle varie azioni è assai diversa: l’azione contabile è fondamentalmente sanzionatoria e richiede pertanto la verifica del dolo o della colpa grave; l’azione sociale di responsabilità ha scopo ripristinatorio ed è sufficiente la colpa lieve.
Gli amministratori di società, però, non per questo possono dormire sonni tranquilli, visto che, nel caso di gestione di denaro pubblico, possono appunto essere chiamati a risponderne ai sensi della sentenza n. 17660/2013.
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