Venezia farà da apripista, ma ettaro dopo ettaro, giorno dopo giorno, le parti meno inquinate dei 57 Sin (Siti di interesse nazionale), potrebbero uscire da quella zona morta in cui sono finite e tornare a “vivere” grazie a industrie compatibili con l’ambiente. Nell’area di Porto Marghera, che ha 3.221 ettari a terra e 2.566 a mare da bonificare per attività petrolchimica, chimica ed elettrica, Regione Veneto, Comune e ministero dell’Ambiente già da tempo hanno incrociato gli interessi e stanno lavorando su un’ipotesi di accordo che sarebbe la prima applicazione del decreto n. 5 del 2012 sulle semplificazioni che alla sezione quinta, articolo 57, porta lo sblocco necessario sui Sin. Al paragrafo 9 vi si legge infatti che «nel caso di attività di reindustrializzazione dei siti di interesse nazionale, i sistemi di sicurezza operativa già in atto possono continuare a essere eserciti senza necessità di procedere contestualmente alla bonifica, previa autorizzazione del processo di riutilizzo delle aree interessate, attestante la non compromissione di eventuali successivi interventi di bonifica». Dal ministero dell’Ambiente spiegano che è poi previsto un successivo emendamento in cui verranno definite le soglie di inquinamento al di sotto delle quali dovranno essere le aree di reindustrializzazione. Soglie di cui l’Ispra sarà garante. Oggi, però, quando ci si avvicina ai siti di interesse nazionale ci si trova di fronte la maggiore opera incompiuta del nostro Paese: le bonifiche. Vai a Napoli orientale e c’è quella per l’ex raffineria Mobil. Poco più in là, a Napoli Bagnoli per l’acciaieria dismessa e lo stabilimento Eternit. La ligure Cogoleto dove tutto è diventato giallo per il cromo esavalente della Stoppani non ha risolto i suoi problemi. Come Falconara Marittima che lega i suoi alla raffineria Api, Milazzo alla raffineria K8, i Laghi di Mantova, Livorno, Porto Torres, Taranto, Gela, Priolo all’Eni. Da nord a sud, da est a ovest, non si può dire che nessuna di queste aree sia rinata. L’estensione totale, finora, è su oltre il 3% del territorio nazionale: 500mila ettari a terra e 90mila a mare. Leonardo Arru, responsabile del servizio emergenze ambientali di Ispra, dopo l’ultima iscrizione all’elenco della Maddalena nel 2008, non si aspetta l’arrivo di altre caratterizzazioni o anagrafi di siti contaminati di interesse nazionale. «Le aree più grandi e con i maggiori problemi sono state individuate, ormai. Nel complesso in Italia ci sono all’incirca 14-15mila siti potenzialmente contaminati. Vengono però divisi tra aree alle cui procedure di bonifica provvedono le Regioni e siti di interesse nazionale dove le procedure sono molto più complesse». Su circa 20 Sin, dunque poco più di un terzo, il ministero dell’Ambiente ha concluso le proprie attività e il risanamento in fase esecutiva è passato alle Province e all’Arpa come previsto dal decreto 152/06. La realtà è che però se guardiamo allo stato attuale c’è un 3% del territorio nazionale letteralmente bloccato dal problema delle bonifiche. A spiegare il perché ci sono la perimetrazione “allargata” prevista da una legge di difficile applicazione, ma anche «i tempi necessari alla caratterizzazione dei siti inquinati. Per le aree piccole si tratta di settimane, per quelle più grandi di diversi mesi – spiega Arru –. Inoltre la lista dei 57 siti è composta da siti che sono entrati a farne parte in anni diversi, anche per questo la situazione è molto disomogenea. Inoltre ci sono bonifiche e bonifiche, alcune comprendono solo aree di terra, altre anche aree di mare e le falde acquifere». Insomma non tutte le contaminazioni hanno lo stesso effetto devastante e quindi l’ostacolo operativo varia di molto, così come lo racconta dal punto di vista tecnico Arru. Poi naturalmente ogni bonifica deve fare i conti con l’ostacolo economico perché «le somme necessarie per queste operazioni sono ingentissime. E sono a carico dei soggetti responsabili qualora siano stati individuati e dello Stato per le aree pubbliche». Così se alcuni siti sono stati dichiarati Sin solo di recente, altre volte invece «la prontezza dei soggetti nell’ottemperare a quanto richiesto dalle norme è mancata», dice Arru. Il risultato è che anche le bonifiche sono lo specchio del blocco del nostro Paese. Da Venezia però adesso si riparte con lo sblocco sulle aree meno inquinate.
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