ROMA – È finito l’appeasement con la Lega e questa volta – dopo il voto di astensione – l’aria gira verso il voto contrario. Il Pd non fa più aperture di credito al Carroccio e soprattutto a Giulio Tremonti. E anzi spera di mettersi tra i due – nell’asse più solido nella maggioranza – e smascherare i «trucchi» del ministro dell’Economia sui costi reali del federalismo. «La Lega deve scegliere tra la fedeltà al federalismo e la fedeltà a Tremonti», dicevano ieri i capigruppo alle Camere Anna Finocchiaro e Dario Franceschini che aggiungeva «se sceglierà la riforma noi ci saremo, se sceglierà Tremonti ci troverà pronti a denunciare al Nord il tradimento del federalismo». Una minaccia che non sembra destare inquietudine nel Carroccio ma che il Pd usa per far sapere che è finita la stagione dell’astensione e si arriva a quella dei «no». Un cambio che certo disturba la Lega impegnata, questa volta, a cercare l’accordo più ampio con l’opposizione vista l’esperienza del referendum che bocciò la devolution. E così nell’audizione di oggi di Tremonti, il Pd presenterà la sua lista di domande al ministro per dare sostanza a un progetto che oggi appare inafferrabile. Dieci quesiti su dieci passaggi chiave: si comincia con l’Imu, la nuova imposta comunale unica sugli immobili e il suo impatto sulle funzioni fondamentali che i municipi devono garantire in maniera identica su tutto il territorio; si continua con la necessità di dare garanzie ai non autosufficienti e, allo stesso tempo, combattere i falsi invalidi; e poi fare chiarezza sulla fiscalizzazione degli attuali trasferimenti statali e come il loro taglio possa incidere su materie come il trasporto pubblico locale o l’assistenza. Ma soprattutto si chiederà conto del rispetto del patto di convergenza, quello da cui – secondo il Pd – dipende l’equilibrio tra il Nord e il Sud del Paese. Insomma, se fino a poche settimane fa Pierluigi Bersani chiedeva e richiedeva a Tremonti «di vedere le tabelle», oggi ? alla bicameralina ? gli metteranno sotto il naso quelle dieci domande da cui si deciderà il possibile cambio di linea del Pd. «Noi siamo stati gli unici a votare contro perché un federalismo senza conti è un’avventura », rivendicava ieri con un certo spirito polemico Pier Ferdinando Casini, sottolineando in questo modo che l’Udc – a differenza del Pd – non ha mai creduto alla ricetta federale made in Tremonti e Calderoli. Ma il «no» del Pd al federalismo non è senza prezzo. Perchè il riposizionamento del partito al Nord passa attraverso questa riforma. E dunque va bene motivato. «Io sono federalista – diceva Bersani – nel senso che deve essere un meccanismo che porti più facilmente uguale fruizione di servizi per tutti i cittadini in tutto il territorio. Se invece diventa la certificazione delle disuguaglianze, non ci siamo». Insomma la linea deve essere quella della legge quadro 42 altrimenti «sarà una pistola carica consegnata alle regioni ricche per far fuori quelle povere».
Dal Pd dieci domande a Tremonti
Fisco su base locale. Ultimatum dei democratici alla Lega: basta trucchi, decida se vuole la riforma
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