ROMA – Una riflessione sul Mezzogiorno e su come poter rilanciare quest’area del paese, il cui ritardo pesa su tutto lo sviluppo nazionale. Una necessità, quella di riportare il Sud a crescere, ancora più impellente nella prospettiva del federalismo. Sarà uno dei temi delle Assise di Confindustria che si terranno il 7 maggio, a Bergamo. Un dibattito a porte chiuse, dove il mondo delle imprese si interrogherà su come diventare più forti e più competitivi, lavorando su se stesso, e lancerà proposte alla politica e ai sindacati su come intervenire per rendere il paese più moderno e in grado di crescere di più. È un evento eccezionale, come ha spiegato la presidente Emma Marcegaglia, che si è reso necessario in questa fase di grande discontinuità, dopo una crisi che ha modificato gli equilibri globali. E venerdì 6 sarà preceduto, sempre a Bergamo, dal Comitato centrale della Piccola industria, che ha unito in questa formula straordinaria anche il tradizionale appuntamento biennale di riflessione pubblica. Il Sud è cruciale, quindi, in una strategia di sviluppo. Pubblica amministrazione, scuola, giustizia, servizi, scarsa produttività, basso livello di infrastrutture: i mali del Mezzogiorno sono gli stessi del resto d’Italia, più accentuati, purtroppo, dalla presenza dell’illegalità. L’utilizzo inefficace dei fondi strutturali europei, come sottolinea la documentazione preparata per il dibattito delle Assise, non ha consentito di recuperare il gap, come sono riusciti a fare altri paesi, creando posti di lavoro. Invece proprio un uso mirato di queste risorse potrebbe favorire un innalzamento dei servizi, un potenziamento delle infrastrutture, spingere la ricerca e l’innovazione. I dati del Sud sono preoccupanti. È l’area più grande dell’Unione europea che presenta un ritardo di sviluppo: quasi 21 milioni di cittadini che vi risiedono hanno un reddito medio di 17mila euro, inferiore al 70% della media comunitaria. Proprio per questo ritardo il Sud è anche uno dei maggiori beneficiari dei fondi Ue. Per il periodo 2007-2013 le cinque Regioni interessate all’Obiettivo convergenza hanno a disposizione circa 43,6 miliardi di euro tra fondi strutturali e relativo cofinanziamento. Ma il Sud non riesce a usarli: a dicembre 2010 i pagamenti rendicontati ammontavano al 9,6% del totale, rispetto ad una media Ue del 18 per cento. Capacità di spesa, ma anche qualità: in passato l’impatto dei fondi strutturali sul territorio è stato scarso. Nel periodo 2000-2006 sono stati finanziati al Sud oltre 250mila progetti, di cui circa un quarto relativi alle imprese. Ma la capacità competitiva delle aziende non è migliorata e resta un divario di produttività rispetto al centro-nord si circa 20 punti. Secondo il Centro studi di Confindustria per recuperare lo scarto servirebbe che al Sud la produttività del lavoro salisse del 16% e aumentasse di 3 milioni il numero degli occupati (da 6,5 a 9,8). Per raggiungere questo obiettivo in un arco ragionevole di tempo, 15 anni, il Sud dovrebbe crescere di quasi il 6% all’anno. I fondi strutturali sono una chance importante. L’esperienza degli altri paesi, sottolinea il documento, dimostra che grazie ai fondi strutturali con il precedente ciclo di programmazione nella Ue è stato creato un milione di posti di lavoro, di cui l’80-90% nelle pmi; oltre 1,3 milioni di piccole e medie imprese hanno ricevuto forme di sostegno, sono stati costruiti 4.700 chilometri di autostrade e 1.200 chilometri di linee ferroviarie ad alta velocità. Ciò che servirebbe al nostro paese che complessivamente ha un gap di strade e ferrovie in rapporto alla popolazione del 75% della media Ue. Anche sui servizi pubblici e funzionamento della Pa il divario Nord Sud è consistente. Da una ricerca del Censis, presentata al convegno organizzato da Confindustria in occasione del Centenario, “Il Sud aiuta il Sud”, emerge che solo il 7,5% degli intervistati considera buono il funzionamento dell’amministrazione sul territorio, mentre per il 47,9% è inefficiente e per il 44,7% scarso. Per il 50% degli intervistati il male peggiore del Mezzogiorno è nella «pervasività delle logiche clientelari che governano il rapporto tra pubblico e privato, tra istituzioni e società». E ancora: solo il 13,3% dà una valutazione positiva della giustizia, soprattutto civile, mentre per il resto è o scarsa o insufficiente.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento