È ammissibile l’espulsione di un consigliere comunale da parte del gruppo consiliare di appartenenza, senza che la stessa sia stata formalmente notificata all’interessato, né comunicata per iscritto al presidente del consiglio comunale? Lo stesso amministratore può essere privato dal ruolo di rappresentante del gruppo presso le commissioni consiliari permanenti, a seguito di una comunicazione fatta pervenire al presidente del consiglio comunale dalla segreteria provinciale del proprio partito di appartenenza?
La tematica del rapporto tra partiti politici e gruppi costituiti nell’ambito degli organi assembleari è argomento ampiamente dibattuto; in dottrina ed in giurisprudenza sono state elaborate suggestive e variegate definizioni circa la natura giuridica dei gruppi.
In linea generale, il rapporto tra il candidato eletto e il partito di appartenenza «non esercita influenza giuridicamente rilevabile, attesa la mancanza di rapporto di mandato e la assoluta autonomia politica dei rappresentanti del consiglio comunale e degli organi collegiali in generale rispetto alla lista o partito che li ha candidati» (Tar Puglia, sez. di Bari sentenza n. 506 del 2005).
Ne consegue che all’interno del consiglio i gruppi non sono configurabili quali organi dei partiti e, pertanto, non sembra sussistere in capo a questi ultimi una potestà direttamente vincolante sia per un membro del gruppo di riferimento, sia per gli organi assembleari dell’ente. Al riguardo si richiama la sentenza n. 16240/2004 con la quale il Tar per il Lazio ha precisato che i gruppi consiliari hanno una duplice natura; essi rappresentano, per un verso, la proiezione dei partiti all’interno delle assemblee e, per altro verso, costituiscono parte dell’ordinamento assembleare, in quanto articolazioni interne di un organo istituzionale. Nella citata pronuncia, si legge che «è dunque possibile distinguere due piani di attività dei gruppi: uno, più strettamente politico, che concerne il rapporto del singolo gruppo con il partito politico di riferimento, l’altro, gravitante nell’ambito pubblicistico, in relazione al quale i gruppi costituiscono strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie degli organi assembleari, contribuendo ad assicurare l’elaborazione di proposte e il confronto dialettico tra le diverse posizioni politiche e programmatiche (cfr. Cass. civ, Sezioni unite, 19 febbraio 2004, n. 3335; C.s., IV, 2 ottobre 1992, n. 932; Corte cost. 12 aprile 1990, n. 187)». Il nostro ordinamento «si preoccupa di assicurare un metodo di organizzazione democratica dei gruppi (in linea con quanto previsto dall’art. 49 Cost. relativamente ai partiti politici), ma non intende in alcun modo condizionarne la vita e le dinamiche interne. In altre parole, il concreto funzionamento e la gestione dei gruppi (parlamentari, regionali, consiliari), diventano rilevanti per l’ordinamento solo quando questi ultimi interferiscano con lo svolgimento delle funzioni proprie delle assemblee» (Tar Lazio ul. cit). L’art. 38, comma 2, del dlgs n. 267/2000, demanda al regolamento, «nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto», la disciplina del funzionamento dei consigli; pertanto, le problematiche relative alla costituzione e al funzionamento dei gruppi consiliari devono essere valutate alla stregua delle specifiche norme statutarie e regolamentari di cui l’ente locale si è dotato.
Nel caso di specie, dalle disposizioni regolamentari relative al funzionamento del consiglio comunale si rileva una disciplina dettagliata per quanto riguarda il passaggio da un gruppo ad altro, con il presupposto indefettibile dell’accettazione da parte del presidente del gruppo cui il consigliere chiede di aderire; non si rinviene, invece, una specifica normativa che preveda l’ipotesi della espulsione di un consigliere dal proprio gruppo di appartenenza originario. Tuttavia, atteso che la materia dei «gruppi consiliari» è interamente demandata allo statuto e al regolamento sul funzionamento del consiglio, è in tale ambito che dovrebbero trovare adeguata soluzione le relative problematiche applicative, posto che, diversamente, sarebbero necessarie modifiche ed integrazioni a dette fonti di disciplina locale.
Spetta, infatti, alle decisioni del consiglio comunale, oltre che trovare soluzioni per le singole questioni, valutare l’opportunità di indicare, con apposita modifica regolamentare, anche le ipotesi in argomento, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei gruppi e l’ordinato svolgimento delle funzioni proprie dell’assemblea consiliare.
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