In linea di massima nel nostro ordinamento non è possibile ottenere un permesso di costruire in forma “implicita”, ma ciò può accadere in ipotesi assai particolari, come nel caso esaminato dalla IV sezione del Consiglio di Stato (decisione 813/2011) e riferito all’annullamento di una ordinanza di rimessione in pristino – cioè di demolizione – per la realizzazione di opere in difformità dai titoli assentiti. Nel giudizio era intervenuto anche il vicino di casa della parte ricorrente, sostenendo che non si trattava di una semplice difformità dal titolo rilasciato, ma che l’intera opera era abusiva, in quanto carente della concessione edilizia. La sentenza richiama innanzitutto il costante orientamento giurisprudenziale in base al quale deve oggi tendenzialmente escludersi il provvedimento concessorio implicito. Infatti, nell’ordinamento preesistente alla legge 10/1977, vigeva il principio di libertà delle forme, che consentiva la sostanziale equiparazione della comunicazione del parere favorevole della commissione edilizia al rilascio della licenza. Tuttavia, dopo l’entrata in vigore della legge Bucalossi, la normativa ha stabilito il contenuto minimo inderogabile della concessione, che deve includere elementi determinativi e conformativi della volontà dell’ente locale, non sostituibili dalla semplice comunicazione del parere (Consiglio di Stato, sezione V, 6256/2002, 6476/2002 e 881/2008). L’a-utorizzazione di altri organi e il parere favorevole della commissione edilizia comunale non hanno, di norma, alcuna valenza provvedimentale, ma soltanto valore di atti preparatori, e non possono né sostituire la concessione edilizia, né, tantomeno, giustificare una pretesa buona fede di colui che abbia costruito senza attendere il formale rilascio del titolo abilitativo (Consiglio di Stato, sezione IV, 3594/2005; Tar Campania – Salerno, sezione II, 8154/2010). I giudici di Palazzo Spada hanno però ammesso la configurabilità di una concessione edilizia “provvedimento implicito”, osservando che tale istituto opererebbe tutte le volte in cui la Pa, pur non adottando formalmente un provvedimento, «ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente». Nel caso esaminato, prosegue la pronuncia, emerge chiaramente che il Comune, con l’ordinanza impugnata, «ha voluto sanare definitivamente sanare la struttura, esprimendo assenso alla sua avvenuta realizzazione con una determinazione la cui valenza giuridica ed effettuale deve essere ricondotta all’ipotesi, univocamente emergente dagli atti di causa, del rilascio implicito della concessione edilizia». E questo anche perché il Comune, acquisito il parere della commissione, aveva quantificato gli oneri concessori, «il cui pagamento com’è noto è univocamente connesso al rilascio della concessione edilizia».
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