Non è ancora tempo di certezze per i bilanci locali. Nel ricco menu della Conferenza Stato-Città di oggi è previsto anche l’accordo sulla ripartizione del fondo di solidarietà comunale 2015, ma l’accordo non arriverà perché le posizioni fra Governo e Comuni sono troppo distanti. Dovrebbe invece arrivare il rinvio al 30 giugno dei preventivi di Comuni e Province, sulla cui efficacia si può però discutere soprattutto nel caso dei quasi 1.100 Comuni al voto a maggio. Nonostante i molti nodi ancora da sciogliere, comunque, resta fermo l’obiettivo del Governo di definire tutti i numeri, compresi quelli relativi alle Province e alle Città metropolitane, entro la fine di marzo, per evitare di ripetere anche nel 2015 lo stato di sospensione continua che negli anni scorsi ha spostato i termini per i bilanci preventivi all’autunno più o meno inoltrato.
Saranno le prossime due settimane, insomma, quelle cruciali per disegnare la geografia delle risorse locali. Per i Comuni, bisogna ripartire i tagli aggiuntivi da 1,2 miliardi chiesti dalla legge di stabilità, e stabilire come ripartire il 20% del Fondo di solidarietà «sulla base delle capacità fiscali nonché dei fabbisogni standard», come recita la formula piuttosto vaga scritta nell’ultima versione del comma 380-quater della legge 228/2012.
In fatto di tagli, a confrontarsi sono due ipotesi al momento piuttosto distanti fra loro. Quella elaborata dal Governo mira in pratica a misurare la sforbiciata di ogni Comune utilizzando gli stessi criteri appena impiegati per distribuire la stretta da 563,4 milioni prodotta dal decreto sul «bonus Irpef» (Dl 66/2014). In questo modo il taglio sarebbe proporzionale alle spese per «consumi intermedi» registrate dal Siope in ogni ente nel triennio 2011-2013, corrette con l’esclusione delle uscite per trasporto pubblico locale e rifiuti, sulla base dell’intesa del 5 agosto scorso appena aggiornata per ripartire i tagli aggiuntivi 2015. Il progetto preoccupa però i Comuni, perché in questo modo il parametro della spesa finirebbe per decidere la distribuzione di tagli per 1,7 miliardi, moltiplicando di conseguenza per tre alcuni problemi registrati con la spending da 563,4 milioni. L’alternativa, in pratica, propone di cambiare la base di calcolo, rivolgendosi non più alla spesa ma alle risorse standard di ogni ente, con una serie di correttivi.
Dall’esito del confronto fra questi “tecnicismi” discendono effetti importanti per i conti di ogni Comune, ma il dato sostanziale è rappresentato dal fatto che a metà marzo i numeri sono ancora incerti e i bilanci viaggiano verso un nuovo rinvio, che trascina con sé lo spostamento dei termini per la definizione del conto chiesto ai cittadini in fatto di Imu, Tasi, e soprattutto di Tares e tariffe, dove gli spazi di manovra residui sono più ampi rispetto a quelli ancora offerti dal Fisco del mattone.
Sul tema, domani in conferenza Stato-Città è previsto il decreto con la proroga al 30 giugno. A far cadere la scelta del 30 maggio c’è il fatto che quasi 1.100 Comuni vanno al voto: la data più probabile, a quanto comunicato nei giorni scorsi, è quella del 10 maggio, che comporterebbe il ballottaggio al 24 maggio nei 106 Comuni con più di 15mila abitanti interessati dal turno amministrativo. In un quadro come questo, anche il termine del 30 giugno rischia di rivelarsi troppo stretto, e potrebbe essere utile decidere subito una proroga di qualche settimana più lunga per non ritrovarsi all’inizio dell’estate con l’ennesimo rinvio a settembre.
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