Pensata nel 2009, congelata nel 2010, messa sotto attacco senza successo dal Milleproroghe 2011 per Milano e Roma con il correttivo caduto nella tagliola del Quirinale, la cura Calderoli sui «costi della politica» locale sembra destinata al debutto effettivo con le prossime elezioni amministrative. A meno di sorprese dell’ultima ora, sempre più improbabili con l’avvicinarsi dell’appuntamento fissato per il 15 e 16 maggio, i comuni e le province impegnate nel rinnovo di giunte e consigli usciranno pesantemente dimagrite dalle urne: in Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria il giro di boa elettorale interessa 114 comuni e 3 province, destinati a lasciare sul campo 475 posti da consigliere comunale e 217 da assessore. In tutto si tratta di 692 politici locali in meno a cui assicurare indennità e gettoni, ma le amministrazioni locali non vedranno un euro in più nelle loro casse. I risparmi rimangono direttamente allo stato, che li dovrebbe impiegare per la scuola e gli interventi «indifferibili e urgenti» legati agli «eventi celebrativi». Insomma: una fetta delle feste per il 150esimo dell’Unità d’Italia sarà pagata dai mancati amministratori. L’obolo più consistente in valore assoluto arriverà dall’Emilia-Romagna, che dopo le elezioni di maggio dovrà farcela con 284 amministratori locali in meno rispetto a oggi; in proporzione agli abitanti, invece, saranno le Marche ad alleggerirsi di più (161 poltrone in meno), mentre la più grande Toscana ne perde 189 e gli enti locali dell’Umbria devono cancellare 58 posti. Le nuove regole, che progressivamente si estenderanno a tutti gli enti locali con le elezioni amministrative dei prossimi anni, sono più draconiane con gli esecutivi che con le assemblee: il taglio riduce infatti del 20% i posti in consiglio, mentre per gli assessori cambia il parametro di riferimento, prevedendone uno ogni quattro consiglieri invece di uno ogni tre come accade oggi. Sulle giunte, di conseguenza, la riduzione è doppia, perché oltre al criterio si riduce la base di calcolo, rappresentata dal numero di consiglieri, per cui la riduzione media è del 37 per cento. Alla cura non sfugge nessuno: Bolognola, 176 abitanti in provincia di Macerata, dovrà dire addio a 3 posti in consiglio e ad una casacca da assessore, e se il nuovo sindaco deciderà per una rasoiata ancora più drastica potrà sfruttare l’opzione offerta dalla nuova normativa, e rinunciare del tutto agli assessori per dare le deleghe a tre super-consiglieri. Bologna, con i suoi 377mila residenti, vedrà invece a Palazzo D’Accursio 36 consiglieri invece dei 46 attuali, e 10 assessori al posto dei 12 concessi dalle vecchie regole. Nel dare-avere delle norme, però, le città più grandi ottengono sempre qualcosa di più, e in questo caso il regalino è arrivato dal Milleproroghe. Bologna, Firenze e gli altri 10 comuni italiani che contano più di 250mila abitanti vengono ora considerati provvisoriamente «città metropolitane», in attesa che il nuovo ente (previsto da 21 anni) sia istituito davvero, e con un solo scopo: ricominciare a garantire ai consiglieri di quartiere i gettoni di presenza e i permessi retribuiti cancellati dalla manovra estiva 2010, che con l’addio ai compensi aveva di fatto svuotato molti dei parlamentini delle città. Un’evoluzione opposta arriva invece nei capoluoghi di provincia che hanno meno di 250mila abitanti: a Rimini, Ravenna, Arezzo, Grosseto e Siena, infatti, tra i posti cancellati dal rinnovo elettorale ci sono anche i consiglieri di circoscrizione. Si tratta di altri 600 posti che se ne vanno ma in questo caso, come accennato sopra, le indennità e i gettoni erano già tramontate. Non serve invece il voto per un altro ingrediente del taglio ai costi della politica. È infatti in arrivo il decreto che applica il taglio alle indennità di tutti i politici locali previsto dalla manovra estiva del 2010: in questo caso la riduzione va dal 3% nei comuni più piccoli (esclusi quelli sotto i mille abitanti) al 10% degli enti maggiori.
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