City manager con la laurea

La Corte conti Toscana bacchetta un ente

Italia Oggi
21 Ottobre 2011
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Negli enti locali, le funzioni di city manager richiedono per il loro utile svolgimento, il possesso del titolo accademico, da cui non si può prescindere. Infatti, in relazione a tale incarico, la pubblica amministrazione locale è chiamata a remunerare non una prestazione qualsiasi, ma la specifica prestazione di un contratto di alta dirigenza, con standard qualitativi, quantitativi e di professionalità ben determinati. Mancando tali parametri, ovvero l’adeguata preparazione culturale, la prestazione lavorativa è del tutto inadeguata alle esigenze dell’amministrazione. Così la Corte dei conti Toscana, nel testo della sentenza n. 363/2011, con la quale ha condannato gli ex amministratori del comune di Pontassieve, a rifondere le casse comunali del danno patito per le indebite erogazioni stipendiali a favore dell’ex direttore generale dell’ente, nominato dalla giunta nonostante lo stesso fosse sprovvisto del diploma di laurea. La figura del direttore generale dell’ente locale è un incarico «indubbiamente concepito dal legislatore» in termini di alta professionalità ed elevato livello culturale. Per queste figure, la p.a. è chiamata pertanto a remunerare non una prestazione qualsiasi, ma una in particolare, caratterizzata da elevati livelli di qualità e professionalità. Ora, mancando la preparazione culturale la prestazione lavorativa è del tutto inadeguata alle esigenze dell’amministrazione pubblica e la controprestazione, ovvero la retribuzione, non è correlata alla prestazione che viene richiesta. Senza dimenticare, rileva il collegio, che è avvenuta la manifesta violazione di norme di legge. Ovvero degli articoli 19 e 28 del dlgs n. 165/2001, dalla cui lettura si evince che il possesso della laurea deve considerarsi requisito culturale obbligatoriamente richiesto per l’accesso, a qualunque titolo, alla dirigenza. E questo sia per le amministrazioni centrali che per quelle locali. Il titolo accademico, ha concluso il collegio, lungi dal costituire una mera formalità, deve ritenersi come metro di valutazione della legittimità e della congruità della spesa pubblica, a fronte della scelta dell’organo di vertice politico. Nell’affidamento di un incarico di direttore generale vi è una discrezionalità nella scelta, ma questa non deve ricadere nell’arbitrio, in quanto la natura fiduciaria dell’incarico «deve comunque cedere all’accertamento dei requisiti accademici e professionali».

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