I numeri
Alla fine del 2014 gli stranieri (Ue ed extra-Ue) registrati all’anagrafe in Italia hanno superato i cinque milioni (8,2% della popolazione). Ma c’è un altro dato importante: nel corso del 2014 hanno acquisito la cittadinanza quasi 130mila stranieri (+29%), un numero superiore agli ingressi di migranti registrati in Italia nei primi otto mesi di quest’anno (116mila circa). Il tasso di naturalizzazione (calcolato ogni mille stranieri residenti a inizio 2014, pari a 4,92 milioni) si aggira sul 26 per mille, con divari sul territorio: si va dai picchi del 52 e 40 per mille di Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Veneto ai valori risicati di Campania o Basilicata (intorno a 10 per mille). Numericamente sono invece le regioni con la maggiore presenza di stranieri a spiccare, con la Lombardia al primo posto (quasi 36mila riconoscimenti), seguita da Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte; all’opposto, Molise, Basilicata e Valle d’Aosta non raggiungono le 500 unità.
Il tasso di naturalizzazione nazionale è ancora lontano da quello svedese (poco meno di 80 per mille), ma si avvicina a quello della Francia (tra i primi Paesi a essersi aperto al cosiddetto ius soli) e supera quello tedesco (ultimi dati Eurostat riferiti al 2013, si veda il grafico a fianco). Ma i valori numerici riservano qualche sorpresa: sul milione circa di stranieri diventati cittadini in uno dei 28 Paesi Ue nel 2013, spiccano Spagna e Regno Unito (oltre 200mila), seguiti da Germania (115mila). Subito dopo, però, viene l’Italia, che con la Francia si colloca tra i cinque principali Paesi per numero di cittadinanze concesse.
Il quadro normativo
Un risultato ragguardevole, nonostante i limiti della legge attualmente in vigore, per esempio «il requisito dei tempi di residenza in Italia per la presentazione della domanda e il complicato meccanismo procedurale che rischia di dilatarli ulteriormente – osserva Marilena Fabbri (Pd), relatrice del testo unificato di riforma -. Alcuni progressi sono comunque stati fatti, come la possibilità di presentare online la domanda, con un’accelerazione del primo screening».
A grandi linee la 91/92 prevede che la richiesta di naturalizzazione possa essere fatta da un soggetto extra-Ue dopo 10 anni di residenza legale (termini diversi sono fissati per i cittadini comunitari, gli apolidi, i rifugiati, gli adottati maggiorenni e altre situazioni). Chi nasce in Italia, invece, può optare per la cittadinanza italiana una volta raggiunta la maggiore età. Ma i minori hanno qualche chance in più: se uno dei genitori, avendone i requisiti, diventa italiano, anche il minore, in forza dell’attuale legge, diventa italiano; così come acquisisce la cittadinanza italiana il minore adottato da un genitore italiano. Con una sorta di effetto “trascinamento” familiare, confermato dai dati Eurostat: il 30% delle acquisizioni di cittadinanza in Italia è attribuibile alla fascia 0-14 anni (il 20% nella Ue a 28).
Ed è proprio sulle seconde generazioni che si concentra il testo unificato di riforma, introducendo per loro una sorta di ius soli. «Intervenire solo sul fronte dei minori ha permesso di raggiungere il maggiore consenso sul testo – spiega Fabbri -, ma anche di scommettere sul futuro. Si tratta di circa un milione di persone, 700mila dei quali nati nel nostro Paese, i quali rischiano di sentirsi ancora estranei rispetto ai loro coetanei italiani. Questo nonostante molti ostacoli siano stati risolti, per esempio nell’ambito della scuola, della cultura e dello sport».
Doppio binario
Il testo prevede un doppio “binario”: lo ius soli temperato e lo ius culturae. Con il primo si riconosce la cittadinanza italiana ai nati in Italia da genitori stranieri «di cui almeno uno sia residente legalmente in Italia senza interruzioni da almeno cinque anni». Potrà diventare italiano anche chi è nato in Italia da genitori stranieri di cui «almeno uno sia nato in Italia e vi risieda legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno antecedente alla nascita del figlio».
Il secondo binario, lo ius culturae, interessa i figli di stranieri che siano entrati in Italia prima dei 12 anni. Se avranno frequentato per almeno cinque anni gli istituti scolastici del sistema nazionale di istruzione oppure percorsi di formazione professionale potranno ottenere la cittadinanza italiana. Una chance viene data anche ai minori over 12: il requisito, oltre ai cinque anni di scuola (con il conseguimento del titolo conclusivo), è la permanenza stabile e regolare in Italia per almeno sei anni. Spetterà ai genitori (con una dichiarazione di volontà al Comune) presentare la richiesta per loro, ma nel caso non lo facciano, potrà provvedervi il figlio, una volta maggiorenne ed entro due anni (oppure, con la stessa tempistica, potrà rinunciarvi qualora sia stata chiesta ed egli sia in possesso di altra cittadinanza).
Il testo di riforma, dunque, non interviene per ora sugli adulti (con la conseguenza che in una famiglia di stranieri potrà in futuro esserci un minore italiano). Ma non è detto che non possa estendersi anche a loro una volta che le forze politiche metteranno in campo gli emendamenti.
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