Ce la stanno mettendo tutta per salvare gli enti locali

Perché non sfoltire comunità montane e camere di commercio?

Italia Oggi
13 Settembre 2011
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Ci si stanno mettendo di buzzo buono, per evitare i tagli alle province. Premesso che nel mondo politico ben pochi credono che si giunga a una qualsiasi positiva conclusione prima della fine della legislatura, ci si è incamminati, da parte del governo, lungo una strada che potrebbe condurre sì alla sparizione delle province, però alla contemporanea nascita di un numero ancor più rilevante di enti intermedi. Che oggi tra i comuni, da un lato, e la regione, dall’altro, ci stiano non pochi enti, è un fatto. Che, dunque, si renda necessario accorparli, attribuendo a un solo istituto competenze oggi frantumate, è pure evidente. Finora, però, è mancato del tutto il coraggio di una potatura ampia ed efficace, che dovrebbe colpire tanto le comunità montane quanto le camere di commercio (di cui, invece, nessuno prevede la fine), così i consorzi di bonifica come gli ato, e via elencando. Se, però, si lasciano stare i comuni nel numero e nelle dimensioni attuali, è evidente che la strada scelta condurrà fatalmente a un consorzio o a un’unione di comuni, cui assegnare competenze, col rischio di generare, di fatto, un maggior numero di province anche se tali non definite. L’Upi, ossia la lobby delle province, lo sa bene e ha già reso evidenti le difficoltà, le incongruenze, le assurdità e i costi che arriverebbero qualora veramente si affrontasse la soppressione delle province come indicato dal governo. Le regioni, poi, farebbero capricciosamente di testa propria, soprattutto quelle a statuto speciale. Un timore diffuso, fra i pochi che vorrebbero davvero tagliare le province (come da promessa elettorale del Pdl, fra l’altro), è l’effetto comprensorio: che, cioè, rinascano quei curiosi enti, intermedi tra comuni e province, che negli anni settanta proliferarono come teorica risposta alle esigenze di un moderno ente sovraccomunale. Sarebbe davvero paradossale che, in luogo delle oltre cento province odierne, si finisse con il dotare la penisola di duecento o duecentocinquanta comprensori. E questo, perché non si ragiona su un dato obiettivo: bisognerebbe prima tagliare alcune migliaia (proprio così: alcune migliaia) di comuni, e vedere poi come eventualmente istituire, fra i comuni sopravvissuti e le regioni, organi intermedi. Ma le due manovre hanno palesato che non si riesce nemmeno a fingere (dicesi fingere) di accorpare i comuni sotto i mille abitanti. Figuriamoci accorpare pure quelli con popolazione superiore. Finirà che ci terremo sia gli ottomila e più comuni, sia le cento e oltre province, sia la miriade di altri enti.

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