Catasto riformato a «saldo zero»

Il Sole 24 Ore
28 Dicembre 2011
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Una riforma del Catasto, che dovrebbe collegare i valori fiscali degli immobili a quelli di mercato, «a costo zero» per i contribuenti. Sono le precisazioni filtrate ieri dal Governo sulle prospettive del fisco del mattone, per contrastare l’idea che la revisione si trasformi in una «stangata» dopo il conto, salato, già presentato dalla manovra. Naturalmente, insieme alle basi di calcolo dovranno cambiare anche le modalità di tassazione: il «costo zero» potrebbe essere a livello complessivo, nel senso che non aumenterà la pressione fiscale sulla casa, ma il risultato non potrà essere identico a quello attuale per ogni proprietario, altrimenti la riforma perpetuerebbe le sperequazioni di oggi e perderebbe la propria ragione d’essere.
Il progetto, anticipato sul Sole 24 Ore del 23 dicembre (ma le prime voci giravano già a fine novembre), è quello di far sparire i «moltiplicatori», appena accresciuti dalla manovra, e fare in modo che la richiesta fiscale sia in linea con il valore reale del bene o la sua vera redditività, a seconda dell’imposta da applicare. La vita reale, secondo l’obiettivo, farà irruzione nel sistema della fiscalità immobiliare e tutti potranno avere parametri certi per valutare la convenienza di acquisti e affitti. Anche se per l’avvento del regno della trasparenza ci vorranno anni.
L’effetto più concreto della riforma, nelle tasche degli italiani, dovrebbe essere la scomparsa delle peggiori sperequazioni: oggi, per esempio, in media il valore di mercato è pari a 3,7 volte quello catastale, ma nei paesi più piccoli la forbice spesso scende intorno alle due volte, mentre in città come Napoli si arriva alla distanza record di dodici volte. Risultato: l’Ici oggi, e a maggior ragione l’Imu domani, più che della ‘ricchezza’ del proprietario sarà figlia della lotteria creata dalla giostra di tariffe d’estimo, categorie, classi e vani, ed a temere di più dovrà essere chi oggi è più lontano dai valori di mercato.
Anche perché il sistema, inventato nel 1939, era nato per rappresentare un’altra cosa: non il valore dell’immobile, ma la sua redditività. I calcoli, una volta fatti, invecchiano rapidamente. E anche la revisione del 1988/89 era entrata in vigore già superata. Né la rivalutazione del 5% del 1997 era servita a granché: se consideriamo i dati del mercato locativo, si vede che dal 1989 a oggi i canoni, in termini reali, sono saliti del 73 per cento. E dato che le locazioni, ufficialmente, a quell’epoca applicavano ancora l’equo canone, ecco che il dato di partenza è assolutamente falsato.
Il danno maggiore è stato fatto con i moltiplicatori: per determinare il valore di un immobile, che con la rendita non c’entra nulla, si è stabilito che questo fosse la rendita motiplicata per 100 (per le abitazioni). E il valore Ici è risultato così sempre più lontano dal reale.
Proprio per questo nel progetto si parla di individuare due valori: quello reddituale (cioè il canone medio al netto delle spese) e quello patrimoniale (il prezzo di mercato). Aggiornabili con un algoritmo che consente ogni due anni di avere dati aggiornati. E passando dai vani al metro quadrato: è già possibile nel 95% dei casi, ma ci sono ancora milioni di mappe mancanti.
Ma quali sarebbero gli elementi da inserire in questo algoritmo? Certamente ubicazione e valori locativi e di mercato ma molti altri potrebbero essere considerati anche se, dicono al Territorio, la definizione dei parametri passerà da un tavolo dove proprietari, professionisti e Comuni diranno la loro. E solo dopo si potrà partire con le idee chiare.

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