La regolarizzazione catastale e la cedolare sugli affitti, secondo i calcoli del ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, sul «Sole 24 Ore» dell’11 luglio scorso, dovrebbero portare tra i 5 e i 10 miliardi ai comuni. I dettagli dell’operazione sono ancora in fase di studio. Anche per questo, può essere utile valutare il tutto con attenzione. La prima cosa da ricordare è che, di certo, non tutte le “case fantasma” possono essere sistemate anche sotto il profilo urbanistico. Basta dare uno sguardo ai dati dell’operazione “case fantasma”, che sono poi quelli diffusi dall’agenzia del Territorio a fine aprile. In Italia sono state scovate, grazie all’aerofotogrammetria, oltre 2 milioni di «particelle» (appezzamenti di terreno) su cui sorgono circa 2,8 milioni di unità immobiliari: villette, palazzine, garage, fabbricati rurali, eccetera. Proiettando sul totale i dati dei fabbricati sinora registrati dall’agenzia del Territorio, che ha condotto con l’Agea la colossale operazione di controllo, emerge anzitutto che, probabilmente, in circa un milione di casi si tratta di edifici che non hanno rilevanza per il catasto (e quindi neppure per il fisco in generale): tettoie e costruzioni rurali autentiche (cioè abitate o usate a scopi agricoli) che, anche se sconosciute o abusive, non hanno rendita catastale. Del resto, ad aprile, una bella fetta era già passata sotto l’esame dell’agenzia: 322.784 unità avevano già avuto attribuita una rendita catastale a seguito di accertamento e per altre 208.964 c’era stato un adempimento spontaneo. Proprio su quest’ultimo dato bisogna soffermarsi: perché, a pochi mesi dalla fine delle operazioni, è lecito supporre che queste e poche altre siano le unità che possono essere accatastate senza rischi. Il che si verifica in due casi: unità sorte senza che fosse stato richiesto un permesso edilizio ma che lo avrebbero ottenuto comunque, oppure che lo hanno ottenuto ma per le quali non è poi stata effettuata la denuncia in catasto. Unità, quindi, che si possono regolarizzare anche dal punto di vista urbanistico. La loro segnalazione spontanea è la prova che i proprietari non hanno paura di emergere. Ma per le altre 1,6 milioni? Il problema di quei fabbricati riguarda non tanto la loro “messa a norma” catastale, quanto quella urbanistica. Per quale ragione i proprietari dovrebbero affrettarsi ad autodenunciarsi, per avere la certezza matematica che il comune verrà a chiedere conto dell’abuso edilizio? Nell’intervista in questa pagina il presidente dell’Anci, Sergio Chiamparino, sembra piuttosto perplesso. Perché ben consapevole del fatto che «gli immobili fuori dal Prg vadano abbattuti». Quindi, possono essere sanati solo quelli per i quali sarebbe stato dato il permesso di costruire, se lo avessero chiesto. Ecco, quindi, lo scarto reale: gli adempimenti spontanei, a oggi 210mila, potrebbero fruttare 533 milioni di sanatoria (sempre ipotizzando che il loro valore catastale attualizzato venga tassato con l’aliquota del 5% ventilata da Calderoli), poco più di un decimo dei circa 5 miliardi promessi. Ma se, a fine operazione catastale, cioè dicembre 2010, si volesse costringere i proprietari di tutti gli immobili emersi a regolarizzarsi, accadrebbe un putiferio: perché, proprio in base all’articolo 19, comma 12, del Dl 78/2010 l’agenzia del Territorio comunica ai comuni tutte le case accatastate e questi dovrebbero quindi provvedere a sottoporli all’esame di regolarità urbanistica. Facile immaginare cosa succederebbe, soprattutto in considerazione che la gran parte delle “case fantasma” è nei centri minori o in campagna, dove i vincoli paesaggistici coprono gran parte del territorio. Si ripropone, insomma, il dilemma della sanatoria edilizia, segnalato dal Sole 24 Ore sin dal debutto della regolarizzazione catastale, a metà maggio. Una sanatoria “allargata” che tutti negano e che, a giudicare dalle stesse parole di Chiamparino, i sindaci sicuramente non voglio. Insomma, la questione resta ancora aperta.
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