Circola da decenni, nell’opinione pubblica in genere, ma altresì nel mondo politico, la credenza che in materia di elezioni decida tutto il ministero dell’Interno, oggi in mano ad Anna Maria Cancellieri. Partendo dai presunti brogli nel referendum istituzionale del 1946 (attribuiti soprattutto al socialista Giuseppe Romita, titolare dell’Interno) si può arrivare alla notte delle elezioni politiche del 2006, quando Beppe Pisanu, responsabile del Viminale, se ne andò a trovare un Silvio Berlusconi all’evidenza persuaso che, in qualche maniera, l’Interno potesse influire sul voto. È di pochi giorni la richiesta, anche da parte di alcuni parlamentari, perché il ministero dell’Interno intervenga sui risultati delle amministrative di Catanzaro, a seguito di un’indagine avviata dalla locale procura.
In realtà, la competenza in materia di elezioni è molto più frastagliata di quanto non appaia. Prendiamo le elezioni comunali. L’ufficio centrale elettorale per le e-lezioni comunali, che si esprime su tutti gli incidenti riguardanti le operazioni, è costituito da un magistrato (presidente del tribunale o suo delegato) e da sei elettori nominati dal presidente del tribunale. Nel caso degli uffici centrali per referendum, elezioni politiche, europee, si tratta di magistrati. Non è un caso che qualche studio sui risultati del referendum monarchia-repubblica abbia, negli anni scorsi, spostato l’attenzione da Romita al titolare della Giustizia, che si chiamava Palmiro Togliatti, essendo appunto gli uffici decisivi composti di magistrati. Le decisioni di tali uffici possono sì seguire la falsariga di istruzioni emanate dall’Interno, ma altresì discostarsene. Si può citare il caso limite di Giuliano Amato che, intervenendo da ministro dell’Interno per risposta a un’interrogazione contestante la mancata proclamazione di alcuni senatori della Rosa nel pugno, si espresse in maniera difforme rispetto ai contenuti dei moduli predisposti dal dicastero dell’Interno. In quell’occasione (alla Camera, il 6 luglio 2006), Amato spiegò come il Viminale avesse «semplicemente assolto ad un compito che ha di fatto, perché nessuna legge glielo attribuisce: quello della predisposizione del modello di verbale per gli uffici elettorali regionali che per tradizione viene fatto dal Ministero dell’interno, così come, per tradizione il Ministero dell’interno comunica oralmente i risultati delle elezioni accertati in via provvisoria e che provvisori rimangono, perché poi i risultati veri delle elezioni sono quelli che vengono forniti dagli uffici regionali e, nel caso della Camera, definitivamente dall’ufficio circo-scrizionale centrale». Dunque, nessuna (o quasi) competenza istituzionale dell’Interno; solo «tradizione». Nelle regioni a statuto speciale, poi, le competenze in materia di enti locali sono in capo alle regioni. Ecco perché la stessa raccolta dei dati provvisori e finali (sempre ufficiosi, comunque) non è stata svolta dal ministero dell’Interno, la scorsa settimana, né in Sicilia né in Friuli-Venezia Giulia. Correttamente il sito internet del Viminale rinviava ai siti delle due regioni. Alcuni giornali, poi, si sono affannati, ancora lunedì scorso (quando già si erano chiuse le operazioni per gli eventuali collegamenti per i ballottaggi) a insistere sulla presunta incompletezza dello spoglio dei voti a Palermo. Più semplicemente, il sito della regione siciliana indicava i risultati quali pervenivano dal comune di Palermo, che si è a un certo punto fermato nella trasmissione (580 sezioni su 600). Peccato, per i cronisti un po’ sprovveduti che non avevano avuto l’intuizione di dare un’occhiata al sito del comune palermitano, che l’ente locale avesse invece continuato a fornire, sul proprio sito, i risultati man mano pervenivano, cioè molto lentamente, fino a chiuderli a quota 600. Ma la proclamazione non competeva certo alla regione. Trasferendo quanto dichiarato da Amato (dall’Interno alla regione), altro sono i dati provvisori, altro sono i dati “veri”.
Cancellieri conta poco sulle elezioni Regioni al voto con norme differenti
Il ministero dell’Interno svolge compiti che sono frutto della tradizione, non della legge
Italia Oggi
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