Nell’altalena di semafori verdi e rossi si erano inserite anche altre due ordinanze: prima per stabilire la decadenza del diritto a costruire perché il tempo era scaduto, infine per sospendere l’efficacia della concessione, ancora una volta per difformità delle opere.
Il “beneficiario” della concessione aveva così ultimato nel ’94 i lavori iniziati nell’81 e per questo aveva chiesto i danni. La Corte d’appello, pur riconoscendo che i provvedimenti adottati erano illegittimi, aveva escluso il dolo o la colpa. La sentenza, impugnata dai diretti interessati, offre l’occasione per elencare il decalogo del buon amministratore. Per la Cassazione non è ragionevole pensare che la Pa non sappia se il piano che disciplina l’uso del suo territorio sia vigente o meno e se questo sia in linea con le autorizzazioni che lei stessa rilascia: né può accorgersi dello “scostamento” due anni e quattro mesi dopo aver dato l’ok per la costruzione. Lo stesso vale anche per il provvedimento sulla decadenza della concessione per lo sforamento del termine di ultimazione dei lavori, emesso senza porsi il dubbio che sui tempi dilatati c’era almeno una corresponsabilità degli amministratori così “indecisi” sul da farsi.
Per la Cassazione la Corte d’appello sbaglia a ritenere scusabile e non colposa la condotta della Pa. Perché se l’ignoranza della legge non è ammissibile da parte del cittadino è intollerabile nell’amministratore. I giudici sottolineano che l’articolo 1176 del Codice civile, che detta la nozione di diligenza ai fini dell’accertamento della colpa, è certamente più stringente per il professionista medio che per il cittadino. Il criterio, precisa la Cassazione vale anche per la Pa e, a scanso di equivoci, chiarisce che per «medio» non si intende mediocre ma bravo, preparato e zelante. Per stabilire se la Pa ha tenuto una condotta colposa è necessario valutare come si sarebbe comportata, in una situazione speculare, un’amministrazione efficiente.
E i giudici identificano la Pa virtuosa in quella che: rispetta la legge; agisce in modo efficiente senza aggravi per i cittadini; non perde tempo, non si balocca e agisce a ragion veduta; è composta da funzionari preparati, prudenti e zelanti. Questo è il modello astratto di Pa e di pubblico impiegato, con il quale la Corte d’appello avrebbe dovuto confrontare il comportamento reale tenuto dal Comune finito sotto accusa. Che siamo lontani è evidente. Anche se l’onere di provare il danno spetta al privato, perché la colpa non basta per dimostrare il pregiudizio subito.
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