«La banda ultralarga è strategica. Non tocca a governo fare piani industriali ma porteremo il futuro presto e ovunque», questo il tweet del premier Matteo Renzi che ha riacceso l’attenzione sulle mosse del governo. Va detto che l’ipotesi Enel non è affatto nuova, ma viene discussa da mesi in ambienti tecnici e tra i consiglieri economici del premier come opzione per completare la diffusione della banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato, dove gli operatori privati non investirebbero in assenza di ritorni certi. Si esaminano anche esperienze internazionali, si considera la presenza in Italia di numerose infrastrutture già presenti nel sottosuolo o a livello aereo per garantire alcuni servizi pubblici essenziali e si ritiene che cabine e tralicci elettrici sarebbero in questo senso impiegabili in sinergia con i piani dei gestori di telecomunicazione. Escluso un coinvolgimento a tutto tondo dell’Enel, in sostituzione completa dei soggetti tlc, scenario forse fatto circolare anche come elemento in più nell’infinita schermaglia diplomatica tra Governo-Cdp-Metroweb e Telecom Italia (che ha pagato ieri le indiscrezioni con un tonfo dell’1,79% in Borsa) nella partita sulla possibile società unica della rete.
Alle gare per attingere ai fondi pubblici – sulla carta ci sono 6,5 miliardi – si prevede ad ogni modo che a partecipare siano soggetti delle telecomunicazioni e su questo punto, per inciso, va ricordato che restano criticità in merito alla disponibilità effettiva delle risorse. Circa 4 miliardi di questa dote dovrebbero arrivare dal Fondo sviluppo e coesione, che risulta però ancora vincolato per l’80% a favore delle Regioni del Mezzogiorno. Significa che per impiegare queste risorse in buona parte al Centro-Nord, oggetto delle maggiori attenzioni degli operatori, occorrerà prima un accordo governo-Regioni per cambiare la chiave di riparto del Fondo.
Intanto si accelerano i contatti con la Commissione europea sugli altri fronti aperti. Entro maggio, promette l’esecutivo, saranno notificati a Bruxelles i nuovi strumenti che si intende introdurre: il credito d’imposta per gli investimenti previsto dal decreto Sblocca Italia, gli incentivi all’attivazione dei servizi sulle reti di nuova generazione (i voucher per lo switch off rame-fibra) e soprattutto il Fondo di garanzia.
L’idea, su quest’ultimo punto, è ricorrere a un prestito della Bei, nell’ambito del piano Juncker, per anticipare la copertura necessaria a far scattare la garanzia. C’è anche un’ipotesi tecnica, contenuta nel documento condiviso dal consiglio dei ministri all’inizio di marzo, che indica in circa 1,5 miliardi la possibile entità dell’operazione considerata dal governo un punto centrale del Piano banda ultralarga.
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