Se l’Unione europea intende raggiungere entro il 2020 l’obiettivo di un tasso di occupazione del 75% gli Stati membri dovranno intensificare gli sforzi per migliorare le strutture per l’infanzia.
Lo afferma una relazione pubblicata ieri dalla Commissione europea, secondo la quale solo otto paesi hanno conseguito entrambi gli obiettivi concordati a livello dell’UE su disponibilità e accessibilità dei servizi di assistenza all’infanzia (vedi allegato). L’Italia non fa parte di questi otto paesi. Secondo i cosiddetti “obiettivi di Barcellona”, convenuti dai leader dell’UE nel 2002, l’assistenza all’infanzia dovrebbe essere fornita al 90% dei bambini fra i tre anni e l’età dell’obbligo scolastico e al 33 % dei bambini al di sotto dei tre anni. Intanto un nuovo studio, pubblicato anch’esso oggi dalla Commissione, getta luce sul fenomeno della “disparità di genere nei redditi da pensione”, in quanto mostra che in tutta l’UE la pensione delle donne è mediamente inferiore del 39% a quella degli uomini.
“Ogni genitore sa fin troppo bene quanto determinante sia l’offerta di servizi di assistenza all’infanzia economici e accessibili, non solo per lo sviluppo del bambino ma anche per i genitori che lavorano. Ciononostante, finora meno di uno Stato membro su tre è riuscito a conseguire i propri obiettivi di assistenza all’infanzia”, ha detto la Vice-presidente Viviane Reding, Commissaria UE per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza. “Gli Stati membri devono impegnarsi se intendono raggiungere l’obiettivo, da loro sottoscritto, di un tasso di occupazione del 75%. Le strutture per l’infanzia non dovrebbero essere considerate un costo ma un investimento sul futuro.”
I dati del 2010 mostrano che la maggior parte dei paesi UE ha mancato gli obiettivi sulle strutture all’infanzia e che solo otto sono stati in grado di realizzarli per entrambe le fasce di età (0-3 anni; dai 3 anni all’età dell’obbligo scolastico): Belgio, Danimarca, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Svezia, Slovenia e Regno Unito. Solo 10 Stati membri (non l’Italia) hanno conseguito l’obiettivo relativo alla prima categoria (da 0 a 3 anni) e 11 (non l’Italia) quello relativo alla seconda (dai 3 anni all’età dell’obbligo scolastico; vedi allegato).
Nel contempo, dati appena pubblicati per il 2011 mostrano una diminuzione dei servizi offerti ai bambini di età maggiore evidenziando come alcuni paesi che avevano raggiunto l’obiettivo nel 2010 si trovino ora al di sotto della soglia del 90 % (Spagna, Paesi Bassi e Irlanda).
Le politiche per conciliare meglio il lavoro con la famiglia, in particolare i servizi di assistenza all’infanzia — sono essenziali per promuovere l’occupazione femminile. Per raggiungere gli obiettivi occupazionali dell’Unione e per migliorare la strategia economica globale è fondamentale che aumenti il numero delle donne che lavorano. Per questo motivo il 29 maggio la Commissione ha proposto al Consiglio raccomandazioni specifiche per paese nell’ambito del terzo semestre europeo 2013 (cfr. IP/13/463). A 11 Stati membri (Austria, Estonia, Germania, Italia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Regno Unito e Ungheria), tra cui l’Italia, sono state indirizzate raccomandazioni sull’occupazione femminile, sulla disponibilità/qualità delle strutture per l’infanzia e/o delle scuole a tempo pieno e sui servizi di assistenza.
Nuovo studio sul divario di genere nei redditi da pensione
Oggi la Commissione ha pubblicato anche un nuovo studio specializzato sul divario di genere nei redditi da pensione in Europa, il primo di questo tipo, che mostra come gli effetti di tassi di occupazione femminile più bassi si estendano fino all’età della pensione: le donne percepiscono una pensione inferiore mediamente del 39% a quella degli uomini. Le disparità di genere nelle pensioni sono il risultato di tre tendenze del mercato del lavoro: (1) la probabilità di occupazione delle donne è inferiore a quella degli uomini; (2) le donne lavorano un numero inferiore di ore/anni; e (3) percepiscono una retribuzione mediamente inferiore. I sistemi pensionistici non sono il mero riflesso neutrale dei percorsi occupazionali: le pensioni possono ridurre, riprodurre o persino rafforzare le ineguaglianze di genere nel mercato del lavoro e nella divisione delle responsabilità familiari tra donne e uomini.
Un nuovo indicatore della parità di genere, il “divario di genere nei redditi da pensione”, contribuisce a quantificare le disparità di genere nel corso della vita delle persone. La situazione varia notevolmente in tutta l’UE (cfr. allegato). Un ampio divario di genere nei redditi da pensione emerge in un gran numero di Stati membri: 17 presentano disparità nei redditi da pensione superiore o uguale al 30%. I paesi con il più ampio divario di genere nelle pensioni sono il Lussemburgo (47%) e la Germania (44%). All’estremo opposto si trovano l’Estonia, con il più basso divario di genere nei redditi da pensione (4%), seguita dalla Slovacchia (8 %). L’Italia si piazza a “metà classifica” con il 32%.
Matrimonio e maternità risultano incrementare il divario di genere nelle pensioni. Le differenze, pur rimanendo cospicue (17%) si riducono nel caso di donne sole. I dati mostrano anche una chiara “penalizzazione da maternità”: avere figli comporta svantaggi pensionistici per le donne in quasi tutti gli Stati membri. Nella maggior parte dei casi, la “penalizzazione da figli” aumenta con il numero di questi ultimi (vedi allegato).
Contesto
Nel 2002 i capi di Stato e di governo dei paesi dell’UE hanno convenuto nelle conclusioni del Consiglio europeo di Barcellona che:
“gli Stati membri dovrebbero rimuovere i disincentivi alla partecipazione femminile alla forza lavoro e sforzarsi, tenuto conto della domanda di strutture per la custodia dei bambini e conformemente ai sistemi nazionali di offerta di cure, per fornire, entro il 2010, un’assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico e per almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni”.
Questi sono noti da allora come gli “obiettivi di Barcellona” per le strutture per l’infanzia e il loro conseguimento è stato al centro delle politiche elaborate, a livello dell’Unione europea e degli Stati membri, per conciliare vita professionale, privata e familiare.
Le strutture per l’infanzia costituiscono altresì una priorità per le strategie della Commissione sull’uguaglianza di genere e l’UE fornisce un sostegno finanziario nel quadro dei Fondi strutturali (in particolare il Fondo sociale europeo).
Nonostante qualche progresso compiuto dal 2002 e l’impegno degli Stati membri, i servizi all’infanzia forniti nell’UE nel 2010 non sembrano soddisfare tali obiettivi.
(Fonte: Commissione europea)
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